L'intercettazione telefonica che contiene il "consiglio" del comandante Vincenzo Pascale è stata depositata oggi dalla Procura. «Spuntano ancora atti falsi», denuncia Ilaria Cucchi

«Deve restare tranquillo, bisogna avere spirito di corpo, se c’è qualche collega in difficoltà lo dobbiamo aiutare». Era il 6 novembre scorso quando il comandante del Gruppo Napoli dei Carabinieri, Vincenzo Pascale, parlava al telefono col vicebrigadiere Mario Iorio, in servizio presso la stazione Vomero-Arenella di Napoli. Iorio, a sua volta, doveva riferire i “consigli” del colonnello al collega Ciro Grimaldi che avrebbe dovuto testimoniare al processo per la vicenda di Stefano Cucchi visto che all’epoca era in forza a Roma Casilina. L’intercettazione telefonica è stata depositata oggi dalla Procura. Che si tratti di depistaggio o solo di pressione, da parte dei vertici dell’Arma, l’irruzione dello “spirito di corpo” nella vicenda Cucchi non è un buon segnale nel clima politico avvelenato dalle parole del ministro degli Interni a proposito dei fatti di Empoli, l’ennesima morte di una persona durante un controllo di polizia.

«Questo è stato detto al teste carabiniere che poi un mese dopo tenterà di ritrattare la sua deposizione già resa al pm Musarò il 22 ottobre – ricorda Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano -. Spuntano ancora atti falsi. Anche la deposizione del maresciallo Speranza, fatta alla Corte d’Assise di Roma pochi mesi fa, diventa imbarazzante alla luce di ciò che emerge da questi nuovi atti. La Giustizia non ha nessuna autorità su queste persone. E questi pubblici ufficiali dimostrano di non aver alcun rispetto e nemmeno timore di fronte ad essa. Qualcuno si mangerà cappuccini e brioche ma io mastico amaro. Depistaggi nel 2009, depistaggi nel 2015, depistaggi oggi». «Continuiamo a sostenere di aver fiducia nelle Istituzioni – insiste Cucchi – a tentare di distinguere ruoli e comportamenti. Confesso che talvolta mi sento una cretina. Davide contro Golia? Dieci anni fa il ministro della Difesa disse a gran voce che i carabinieri non c’entravano con la morte di Stefano Cucchi. Sei anni di processi contro imputati sbagliati. Davide riuscirà a vincere? Davide siamo tutti noi cittadini che chiediamo solo che la legge sia uguale per tutti e tutti uguali di fronte alla legge. Siamo noi i tribuni di turno? Non lo so. Magari perderemo ma di sicuro le nostre non sono farneticazioni».

Lo “spirito di corpo” è quel particolare tipo di omertà che già all’epoca del processo Diaz fu individuato dal pm Enrico Zucca, nell’incipit della sua lunga requisitoria, come una delle cause che rendono più difficili degli altri i processi contro persone che indossano una divisa. E che rendono particolarmente difficile la vita di chi, indossando una divisa, si assume la responsabilità di infrangere quell’omertà: ad esempio Riccardo Casamassima, l’appuntato che, con la sua testimonianza, ha riaperto il processo per la morte di Cucchi. Il militare ha presentato nei giorni scorsi una denuncia alla procura militare e ordinaria nei confronti del comandante generale dell’Arma, Giovanni Nistri che – sostiene – lo avrebbe «screditato» durante l’incontro avvenuto lo scorso ottobre tra il comandante generale, il ministro della Difesa Elisabetta Trenta e la Cucchi, descrivendolo come «una persona non per bene». «L’incontro – spiega il legale – riguardava il processo Cucchi, non certo Casamassima. Il comandante ha pronunciato parole atte a screditare il mio assistito davanti a tutti, ministro compreso. Ora ci affidiamo alla magistratura, sperando faccia chiarezza su quanto accaduto». Intanto domani, scrive Casamassima su Facebook, «dovrò affrontare un nuovo procedimento disciplinare con tanto di processo e commissione».

Tornando alle intercettazioni, depositate oggi a piazzale Clodio, Grimaldi, all’epoca dei fatti in servizio presso la stazione Casilina di Roma, è stato sentito come testimone il 6 dicembre scorso. Nell’intercettazione Iorio riferisce al collega quanto dettogli dal colonnello: «Mi raccomando dite al maresciallo che ha fatto servizio alla stazione – afferma nella intercettazione Iorio riportando al maresciallo Grimaldi le parole del colonnello – lì dove è successo il fatto di Cucchi…di stare calmo e tranquillo…». E ancora Iorio riferisce al collega quanto dettogli dal superiore: «Mi raccomando deve avere spirito di corpo, se c’è qualche collega in difficoltà lo dobbiamo aiutare».
In aula, Grimaldi disse: «il 27 ottobre 2009, in occasione della visita quadrimestrale del comandante in Stazione, il collega Colicchio era arrabbiatissimo e, andandosene, ebbe con me un breve sfogo. Mi disse “mi volevano fare cambiare l’annotazione, ma li ho mandati aff…”». Nei giorni successivi «capii che l’annotazione in questione – ha aggiunto – riguardava il servizio svolto nella notte in cui Cucchi era stato ristretto presso la camera di sicurezza della stazione di Tor Sapienza». Per quanto riguarda il resto, il maresciallo Grimaldi ha detto di non aver mai visto Cucchi. Quando in caserma arrivò il 118 «gli infermieri entrarono nella cella insieme con Colicchio; io restai sulla porta. Ricordo che Cucchi era coperto e non voleva farsi visitare; l’infermiere riuscì solo a prendergli i parametri vitali». Fu Colicchio «a dirmi che era molto magro e, commentando gli articoli di stampa successivi alla morte, mi disse “ma come si fa a picchiare uno così?”. Mi raccontò che Cucchi aveva la cinta rotta e alla richiesta di cosa fosse successo, rispose «me l’hanno rotta l’amici tua». Nei giorni successivi alla morte, «il piantone mi passò una telefonata del maresciallo Mandolini (uno degli imputati, accusato di calunnia, ndr) e mi chiese d’inviargli l’annotazione di servizio del militare che lo aveva piantonato quella notte; e se durante la notte Cucchi avesse compiuto gesti di autolesionismo in camera di sicurezza. Gli risposi che non mi risultava nulla del genere».

La nota della Squadra mobile fa parte di una serie di atti che la Procura ha depositato nell’ambito del processo che vede imputati cinque carabinieri. Tra i documenti messi a disposizione delle parti dal pm Giovanni Musarò, anche i verbali di testimonianze raccolte nelle ultime settimane negli uffici di piazzale Clodio. Tra le persone sentite anche il maresciallo Davide Antonio Speranza, in servizio presso la stazione Quadraro dei Carabinieri di Roma all’epoca della morte di Cucchi. Nel corso dell’audizione, il militare è tornato sulla vicenda delle note di servizio modificate tirando in ballo due degli imputati: Roberto Mandolini e Vincenzo Nicolardi. «Mandolini quando lesse la nota – ha fatto mettere a verbale Speranza – mi disse che non andava bene e che avrei dovuto cestinarla perché avremmo dovuto redigerne una seconda in sostituzione della prima. Il contenuto di tale annotazione fu dettato da Mandolini e lo scrissi io, alla presenza anche di Nicolardi, quindi stampammo e la firmammo a nostro nome». Parlando delle due versioni delle note di servizio, Speranza afferma che nella prima versione si affermava che «Cucchi era in stato di escandescenza» mentre nella seconda versione, sul punto, si afferma che «è doveroso rappresentare che, durante l’accompagnamento, non lamentava nessun malore né faceva alcuna rimostranza in merito». Tra gli atti depositati, infine, c’è anche un ordine di servizio in cui compare la scritta «bravi» nello spazio dedicato alle note dei superiori. Sul punto il maresciallo afferma: «Non so dirvi per quale ragione, nella parte dell’ordine di servizio dedicata alle annotazioni dei superiori è scritto “bravi”, considerato che avevamo fatto una mera azione di routine e che nel momento in cui l’ordine di servizio fu redatto Cucchi era già morto». Sul punto è stato ascoltato anche il comandante della stazione dei carabinieri del Quadraro, Dino Formato, il quale afferma di non sapere per quale ragione fu redatta una seconda annotazione.