Straordinari gratis, orari assurdi, part-time involontari. E poi discriminazioni razziali. O di genere. Fino all’imposizione di test di gravidanza, se si vuole rinnovato il contratto. Benvenuti nella giungla quotidiana di commessi, facchini e riders. Dove i diritti sono un lontano miraggio

«Finché non sono rimasta incinta». Claudia ripete queste parole ancora incredula per quello che ha vissuto a soli 25 anni. Dopo anni di sacrifici e di stage, aveva firmato un contratto a tempo indeterminato in un negozio di abbigliamento a Roma. Pensava che la sua vita fosse definita e, invece, una volta tornata dalla maternità è cominciato l’inferno: «Non avevo più diritto a nulla, a giorni liberi o a riposi». La ragione? «Mi dicevano che già avevo fatto molte assenze. Le stesse ore di allattamento erano diventate a discrezione della mia azienda e non in base alle esigenze del mio bambino. Ho provato a resistere, ma dopo tre mesi sono andata via».

Ad Alessandra è andata forse anche peggio: «Comincio a lavorare in un centro commerciale, ma dopo pochi mesi mi accorgo che l’ambiente non è sano. Pretendono ore di straordinario gratis, orari assurdi, e quando ad agosto mi sposo mi concedono solo pochi giorni. Con la busta paga, a settembre, scopro perfino che l’assenza era stata indicata come ferie, e non come congedo matrimoniale». Ma non è finita: «Il secondo rinnovo va dal 31 agosto al 30 novembre. Ad ottobre mio padre viene ricoverato. Deve subire un’operazione complessa, quando non lavoro sono in ospedale da lui, di notte non dormo per la preoccupazione, mangio male, al lavoro sono stanca e prendo un po’ di peso». Il 29 novembre le dicono che il suo impiego non verrà rinnovato perché «sospettano che io sia incinta». E allora? «Mi chiedono un test di gravidanza per farmi eventualmente un ulteriore mese di contratto».

Sembrano storie incredibili, invece sono la realtà. Lo sa bene Francesco Iacovone, sindacalista dei Cobas e punto di riferimento per i tanti sfruttati in campo lavorativo. «I ragazzi in Italia non hanno più futuro – commenta Iacovone -, se non una schiavitù quasi regolarizzata dall’inesistenza di controlli». Come nel caso della gig economy. Alle porte di Piacenza c’è il centro di smistamento Amazon più grande d’Europa, dove a decidere la vita lavorativa di ogni dipendente è un algoritmo. «Siamo automi», spiega…

L’inchiesta di Carmine Gazzanni prosegue su Left in edicola dall’8 febbraio 2019


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