Amnesty international punta il dito contro Airbnb, Booking.com, Expedia e TripAdvisor: traggono profitto dallo sfruttamento a fini turistici di terre e risorse che appartengono ai palestinesi, contribuendo al mantenimento e all’espansione degli insediamenti illegali di Israele

«Quattro bungalow con piscina in comune da affittare separatamente. Un luogo tranquillo a soli 15 minuti di macchina da Gerusalemme con una meravigliosa vista sul deserto della Giudea e sul Mar Morto. Un posto dove potersi godere la tranquillità». L’offerta di Shlomo è allettante così come il prezzo: 35 euro a notte. Dotata di ogni confort, è la perfetta combinazione dei servizi offerti dal famoso portale Airbnb: relax, convenienza, privacy, natura, ma nello stesso tempo vicinanza alle bellezze storiche di Gerusalemme. Tutto perfetto insomma, se non fosse per un “piccolo dettaglio”: l’alloggio si trova nella colonia di Kfar Adumim nei Territori occupati palestinesi e non in Israele come riporta la compagnia statunitense di alloggi e camere per turisti. Non solo: nel corso degli anni l’insediamento si è esteso ai danni dei pastori beduini che, perdendo i mezzi di sostentamento, sono stati costretti a dipendere dagli aiuti umanitari. Chissà, inoltre, se nel godersi la «tranquillità» dalla terrazza di Shlomo si riesca a vedere anche il vicino villaggio palestinese di Khan al-Ahmar che rischia di essere demolito in seguito ad una sentenza della Corte Suprema israeliana.
La presenza di una colonia nel catalogo del portale americano non è frutto di un errore di distrazione. Secondo un rapporto pubblicato dalla ong per i diritti umani Amnesty International (AI), infatti, Airbnb, Booking.com, Expedia e TripAdvisor «stanno speculando sui crimini di guerra israeliani favorendo l’espansione delle colonie in Cisgiordania che traggono profitto dallo sfruttamento a fini turistici di terre e risorse appartenenti ai palestinesi». «Negli ultimi anni – osserva AI nel suo studio dal titolo Destinazione occupazione – il governo israeliano ha investito molto nello sviluppo dell’industria turistica negli insediamenti definendo determinate destinazioni come luoghi di turismo così da giustificare la confisca di terre e abitazioni palestinesi e costruendo spesso intenzionalmente insediamenti nei pressi dei siti archeologici per porre enfasi sulle connessioni storiche del popolo ebraico con la regione». «Tutte e quattro le compagnie – continua l’organizzazione – stanno…

L’articolo di Roberto Prinzi prosegue su Left in edicola dall’8 febbraio 2019


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