Il colonnello Lorenzo Sabatino è un altro alto ufficiale (per il caso precedente vedi Left) indagato nell’inchiesta sull’omicidio Cucchi e la poderosa macchina di depistaggi che si mise in moto alla morte, sei giorni dopo l’arresto del giovane geometra romano, il 22 ottobre del 2009. Chi conosce i fatti e le carte di questa lunga storia è convinto che sia l’ennesimo ma non certo l’ultimo colpo di scena, soprattuto per il filone di indagine che risale lungo la catena del comando.
Sabatino oggi è comandante provinciale dei carabinieri a Messina. È stato interrogato mercoledì pomeriggio come indagato dal pm Giovanni Musarò. Gli viene contestato il reato di favoreggiamento per l’attività di occultamento e manipolazione delle prove condotta nel novembre 2015 dal reparto operativo dell’Arma di Roma, di cui era allora comandante.
Il suo compito sarebbe stato quello di far deragliare anche l’inchiesta bis sull’omicidio, quella per cui si sta celebrando il processo ai tre carabinieri responsabili del pestaggio di Stefano e ad altri due per gli abusi collegati. Quel novembre del 2015, Sabatino aveva ricevuto l’incarico di raccogliere e trasmettere alla Procura tutti gli atti interni all’Arma su Cucchi ma per il pm Musarò non avrebbe segnalato che erano state «manomesse» due delle evidenze chiave in grado di ricostruire cosa fosse accaduto la notte del 16 ottobre 2009, quella dell’arresto e del pestaggio di Stefano Cucchi: le ormai famose relazioni di servizio “addomesticate” scritte dai carabinieri Colicchio e Di Sano, piantoni di guardia nella caserma di Tor Sapienza, dove Stefano trascorse la notte dell’arresto.
A entrambi, come l’indagine della Procura ha ormai accertato, venne imposto dalla catena gerarchica dell’Arma di correggere quanto avevano inizialmente annotato per iscritto nelle loro relazioni in modo tale che scomparisse ogni riferimento alle tracce, già in quella notte dell’ottobre 2009 evidenti, del pestaggio appena subito da Stefano dai carabinieri che lo avevano arrestato. E vennero dunque confezionati due falsi, due nuove annotazioni che di quelle originali avevano la medesima veste grafica e lunghezza, riportavano la stessa data, «ma erano appunto purgate nei contenuti». Sabatino non notò quella discrepanza ma affastellò originali e falsi in un unico malloppo di carte che, tuttavia, il pm Musarò è riuscito a dipanare. Il colonnello Sabatino avrebbe provato a cadere dalle nuvole e scaricare la responsabilità della mancata segnalazione alla Procura prima sul capitano Testarmata, quindi sull’allora comandante del Nucleo Investigativo.
Sabatino è stato citato anche nell’udienza di ieri, 14 febbraio, quando ha deposto il maggiore Pantaleone Grimaldi, l’ufficiale che si accorse dello sbiachettamento del nome di Cucchi dal registro del fotosegnalamento. «Capii subito che si trattava di un’irregolarità, un’irregolarità tra l’altro sanzionabile anche con un provvedimento disciplinare. Dissi al capitano Tiziano Testarmata che il documento doveva essere sequestrato ma all’epoca riposi la mia fiducia su Testarmata e decisi di non insistere». Grimaldi, che nel 2015 divenne comandante della Compagnia Casilino, nel novembre di quell’anno venne contattato dal comandante del Reparto operativo, il colonnello Lorenzo Sabatino, il quale lo avvertì che sarebbe arrivato il capitano Testarmata per acquisire documenti sul caso Cucchi che erano conservati ancora in un armadio chiuso a chiave. «Notai anche che nel campo dove si deve scrivere chi effettua il foto segnalamento c’era scritto solo addetto», ha aggiunto Grimaldi, sentito già lo scorso novembre dal pm Giovanni Musarò quando riferì di aver detto a Testarmata, in quell’occasione, che non poteva essere solo un caso che quella serie di irregolarità riguardassero la vicenda Cucchi.
Ieri, al termine della lista dei testi convocati dal pm, è iniziato l’ascolto dei testimoni delle parti civili. Tra questi una serie di persone che hanno avuto contatti con Cucchi nella palestra che frequentava: tutti hanno detto che all’epoca precedente il suo arresto, il giovane si allenava regolarmente, nonostante la magrezza, vero chiodo fisso delle difese degli imputati. E poi, Massimiliano Di Carlo, un agente della penitenziaria che vide il giovane nelle celle del tribunale prima del suo accompagnamento in aula per l’udienza di convalida dell’arresto. «Aveva il volto tumefatto con delle macchie scure di colore marrone sul viso – ha detto testimoniando per la prima volta al processo – All’epoca commentai con un collega, dicendo “guarda com’è conciata questa persona”».
Il 27 febbraio si ritornerà in aula. Tra i testimoni citati ci sarà il generale Vittorio Tomasone, all’epoca comandante provinciale dei carabinieri di Roma e che, secondo alcuni testimoni ordinò verifiche interne su quanto accaduto in caserma nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009, quando Cucchi fu arrestato. Ma quel giorno entrerà in aula anche la vicenda della radiografia a metà e il referto non firmato. Misteri che questo processo sembra deciso a chiarire.