Siamo all’epilogo del processo di regionalizzazione iniziato con la riforma del Titolo V. Pd e Lega vanno a braccetto nelle regioni ricche. Ma la Costituzione dice che prima di parlare di autonomia bisogna garantire i livelli essenziali di prestazione sui diritti sociali e civili. A tutti

I nodi vengono al pettine. La riforma del Titolo V voluta nel 2001 dal centrosinistra nell’intento di impedire l’avanzata elettorale della Lega al Nord, pur essendo ancora lontana dalla sua attuazione, sta per produrre uno dei suoi effetti più nefasti: l’autonomia differenziata di tre regioni (Veneto, Lombardia e Emilia Romagna). Il rischio, secondo economisti e giuristi, proprio per come il processo di regionalizzazione è stato condotto – «una sorta di trattativa privata tra la ministra leghista degli Affari regionali e i tre governatori», dice a Left Massimo Villone – è che salti in aria l’intero impianto della Repubblica. Con le tre regioni “forti” – producono il 40% del Pil – che gestiranno per conto loro molte materie tra cui, in modalità diverse, istruzione, sanità, ambiente, infrastrutture, beni culturali. Pd e Lega ormai viaggiano sullo stesso binario, con il Partito democratico nel totale silenzio, pur essendo all’opposizione. Del resto era stato il governo Gentiloni ormai in scadenza, il 28 febbraio 2018, a siglare la pre-Intesa tra lo Stato e le tre regioni, di cui, una, l’Emilia Romagna, a guida Pd. Nessun ostacolo per la ministra Erika Stefani nel portare avanti quell’autonomia differenziata prevista dall’art.116 della Costituzione riformata nel 2001.
Al governo Conte spetta il compito – la data fatidica è il 15 febbraio ma probabilmente ci sarà uno slittamento – di varare la proposta di legge che recepisce le richieste delle tre regioni. Una “secessione dei ricchi” l’ha definita l’economista Gianfranco Viesti che ha lanciato una petizione su Change.org (v. Left del 21 settembre 2018) e ha pubblicato per Laterza un agile e istruttivo e-book scaricabile in rete (Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale). Secessione dei ricchi perché, in estrema sintesi, là dove si produce di più arriveranno più soldi nei prossimi anni penalizzando le regioni con capacità fiscale più debole. Il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini…

L’articolo di Donatella Coccoli prosegue su Left in edicola dal 15 febbraio 2019


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