Ararat riposa sotto il sole tiepido di un sabato pomeriggio. Sul tavolo la teiera e bicchieri per il chai, il tè. Appiccicato su una roulotte c’è il manifesto del corteo nazionale di sabato 16 febbraio, a Roma: la comunità curda, insieme a tantissime associazioni italiane, chiederà come ogni anno la liberazione di Abdullah ‘Apo’ Ocalan. Sono trascorsi vent’anni dal suo arresto, a Nairobi. Un arresto iniziato qui, nella capitale. Ararat, il centro culturale curdo sorto poco dopo a Testaccio, è una delle tante creature figlie di quell’arresto. Una palazzina a due piani, due stanze utilizzate come dormitorio, una biblioteca, la sala computer, una cucina.
Subito fuori, una piccola postazione per il tè, un biliardino, tavoli e sedie. Sulla terrazza al secondo piano i fili per stendere il bucato e sul piazzale il giardino “Azadi”, libertà, dove ogni anno il 4 aprile si festeggia il compleanno di Ocalan con una nuova pianta.
Ci sediamo in giardino. «Nel 1997 una nave, la Ararat, sbarcò in Calabria. Portava rifugiati curdi, attivisti, giornalisti», ci racconta F. Erano circa 800. Era dicembre. Alcuni di loro si spostarono a Roma, a Colle Oppio.
«Quando Ocalan è arrivato a Roma, l’anno dopo, venne portato all’ospedale militare. E allora tantissimi di quei curdi e tantissimi altri da tutta Europa si ritrovarono a Colle Oppio per abbracciare il loro leader. La gente dormiva all’aperto, si era costruita ripari con il cartone. Molti italiani portavano cibo e coperte. L’avevano ribattezzata Piazza Kurdistan. C’erano famiglie, bambini». Il 15 febbraio 1999 Ocalan viene arrestato in Kenya, dopo essere stato scaricato da Roma. «Il 27 maggio successivo – dice P. – i curdi occuparono questa palazzina, con l’aiuto di Dino Frisullo e degli architetti di StalkerLab». È nato Ararat, come la nave e come la montagna in cui leggenda vuole che si arenò l’arca di Noè. Da allora…
La sua idea di confederalismo democratico è attuale più che mai, dicono i curdi del centro Ararat di Roma: «In un mondo senza caos e senza guerra, il capitalismo non ha di che nutrirsi. Lo hanno “fatto fuori” perché voleva portare pace e democrazia in Medio Oriente»