«Mi rimangono davvero poche parole, se non quelle per chiedere scusa a chi sperava che fossimo diversi. Non lo siamo». Così Damiano Carretto - consigliere M5s a Torino - commenta il voto online sul caso Diciotti

Caso Diciotti: «Si, è avvenuto per la tutela di un interesse dello Stato, quindi deve essere negata l’autorizzazione a procedere». Questo il verdetto pervenuto online dei sostenitori M5s, ai quali era stato chiesto di esprimersi sulla linea da tenere in Aula, dopo la richiesta del Tribunale dei ministri di sottoporre a processo il vicepremier Matteo Salvini. La democrazia diretta, nelle forme opache della piattaforma Rousseau, si riduce a un referendum sulla ragion di Stato. Che poi è una ragion di governo, la traduzione del quesito potrebbe essere la seguente: «Volete voi che la crisi di governo passi per l’autorizzazione a procedere di un ministro dell’Interno indagato per sequestro di persona, omissione di atti d’ufficio e arresto illegale?». La digitalizzazione della democrazia – questione che ha contribuito non poco anche al travaglio di esperienze come quella di Potere al popolo – meriterebbe un respiro diverso. Non ci sarebbe nulla di scandaloso se i cittadini potessero esprimersi sulla processabilità di un ministro ma, almeno, dovrebbero aver letto le carte, la piattaforma dovrebbe essere sufficientemente trasparente, i quesiti formulati senza ambiguità. Non è la prima volta che Left si occupa dell’immaginario e dell’idea di “cittadinanza attiva” a Cinque stelle ma questa volta è un caso di scuola per capire cosa sia, nella neo-lingua di Casaleggio, la democrazia diretta. Diretta da chi, appunto. La vicenda della consultazione on line sul caso Diciotti ci consegna un intreccio di questioni sulla democrazia digitale e sulla natura del M5s.

Nel day after – in attesa dell’esito della votazione vera, quella della Giunta per le immunità parlamentari del Senato – va registrata un’affluenza record, per quanto riguarda le votazioni in una sola giornata, sulla piattaforma Rousseau per la consultazione sul caso Diciotti. I 52.417 votanti di ieri superano infatti i 51.677 per le Quirinarie che, nel 2015, videro Ferdinando Imposimato come candidato degli iscritti del Movimento. Stavolta la base elettronica del partito, che in genere consegna risultati plebiscitari, si è stanzialmente spaccata sulla vicenda dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini indagato per i reati commessi quando, nell’agosto scorso, ha dato ordine di non far sbarcare i migranti che si trovavano a bordo della nave militare italiana. In 30.948 hanno votato «no» laddove in 21.469 si sono espressi a favore dopo il maquillage al quesito con l’aggiunta di un inciso sul fatto che l’azione di Salvini fosse, o meno, a tutela dell’interesse dello Stato. E dopo il crashdown della piattaforma: l’inizio delle votazioni slittato dalle 10 alle 11 e il termine dalle 20 alle 21:30 per «l’alta affluenza». Ma la base, in parte, non sopporta bene la scadente prestazione di Rousseau che ha ottenuto circa 1 milione di euro dai parlamentari per implementare il sistema. «Dovrebbe funzionare come un orologio svizzero», dice la parlamentare Elena Fattori attaccando la «trasparenza» dell’associazione presieduta da Davide Casaleggio: «Dei miei versamenti non ho ricevuto neanche una ricevuta». «Io ho votato per l’autorizzazione a procedere, perché ci si deve difendere nei processi e tutti sono uguali di fronte alla legge. Però mi stupisce un fatto: i nostri colleghi del M5s che fanno parte della giunta per le autorizzazioni avevano spiegato di non potersi esprimere senza prima aver letto le carte sul caso Diciotti, e ora invece hanno fatto decidere chi le carte non poteva proprio leggerle», osserva la deputata più o meno dissidente Gloria Vizzini.

Il giorno dopo è anche il trionfo della retorica o dello smarrimento di chi aveva riposto le proprie energie nella diversità. «Far votare i cittadini è parte del Dna del M5s, sono orgoglioso», rivendica Luigi Di Maio. La tensione è altissima anche perché i sindaci pentastellati (Raggi, Appendino, Nogarin) hanno detto di aver votato Sì irritando il vicepremier e in nottata, dopo la consultazione, c’è l’assemblea congiunta tra parlamentari e ministri M5s. Mentre la Lega, al di là delle rassicurazioni di Salvini sulla tenuta del governo, aumenta il suo pressing. Di Maio incassa la «piena fiducia» di Beppe Grillo. Alla fine Salvini ringrazierà «per la correttezza» Luigi Di Maio puntualizzando: «Per me il governo non era e non è in discussione. Il governo va avanti, punto. I Cinquestelle sono stati sempre duri, ma per altri tipi di reati: di solito i parlamentari venivano processati per truffa, corruzione. Questo era un atto politico per il bene degli italiani, ne ero convinto io ed anche la maggioranza dei loro elettori».

Tra i dissidenti c’è chi vede il bicchiere mezzo pieno e chi chiede denuncia il delitto perfetto. L’esito del voto su Rousseau era «scontato, anzi un 40% che resiste è poco usuale, direi un bel segnale» dice la senatrice M5s Paola Nugnes, commentando il responso. «Mi rimangono davvero poche parole, se non quelle per chiedere scusa a chi sperava che fossimo diversi. Non lo siamo», così su Fb il consigliere comunale M5s di Torino, Damiano Carretto. «Io spero solo che quel 59% un giorno possa rendersi conto di quello che ha fatto. E con loro, anche chi ha pilotato la votazione formulando un quesito con lo scopo evidente di manipolare il risultato», aggiunge e conclude: «Ora manca solamente che da Roma autorizzino il Tav e avranno compiuto il delitto perfetto».

In quella che qualcuno chiama la «palestra di democrazia», altri vedono la perdita dell’anima, dimenticando quando in nome della stessa ragion di governo anche a sinistra si votarono crediti di guerra e altre schifezze. «Il M5s fa ormai parte del sistema e salva dal processo il vero capo politico del governo: Salvini – commenta Luigi De Magistris – ormai tutti nel Paese hanno chiaro che non esiste più quel Movimento che avevamo conosciuto dieci anni fa. Forse ci eravamo un pò illusi che la base, attraverso uno tsunami di disgusto, potesse sottrarre la maschera ai vertici del M5s ma questo non è accaduto e non è una bella notizia». De Magistris è detto «convinto» che «tra i militanti M5s tantissimi non condividono questa decisione e forse anche tra alcuni parlamentari, ma il dato che emerge è che oggi nel M5s, componente del governo nero, le posizioni dei meetup che lottavano per la giustizia e contro i privilegi dei politici e dei potenti non esistono più. Il M5s vuole l’immunità per ministri e parlamentari esattamente come i politici della Prima repubblica. È scandaloso per chi ha fatto crescere il proprio consenso attraverso il grido “onestà” non consentire alla magistratura di avviare un procedimento penale per un fatto così grave come il caso Diciotti».

«Salvano il loro amico Salvini dal processo, rinunciando a uno dei loro principi fondamentali. Uno vale uno non funziona per il loro alleati di governo – scriverà su Fb il segretario nazionale di Sinistra italiana Nicola Fratoianni – altro che giravolte, qui siamo ben oltre. Dopo Tap, l’autonomia del Nord, l’articolo 18, arriva il voltafaccia definitivo. Hanno prodotto un quesito costruito ad arte e si sono liberati da ogni responsabilità, chiamando al voto i loro supporter. Sappiano che hanno perso faccia e credibilità, visto che hanno sempre picchiato duro e agitato le manette per tutti e tutte, compresi i poveri cristi e oggi decretano l’impunità per il più potente degli amici di governo. Il più classico esempio della peggior doppiezza morale. Sepolcri imbiancati». «Con la finta consultazione di oggi su Salvini, i capi grillini hanno venduto l’anima del movimento per 4 poltrone», twitta il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, segretario in pectore, salvo colpi di scena, del Pd.

Al centro della riunione notturna dei 5s, soprattutto l’istituzione di un’organizzazione centrale del partito, di un gruppo di lavoro diviso per aree geografiche e per temi che faccia da coordinamento e aumenti il radicamento sul territorio. Proposta, questa, sostanzialmente accolta dalla maggioranza dei parlamentari presenti. Particolarmente duro, tra gli interventi, quello della vicepresidente del Senato, Paola Taverna. “Chi non è d’accordo con le scelte del Movimento vada via”, è il senso del messaggio che la senatrice ha recapitato all’assemblea, alla quale hanno partecipato tutti i ministri M5s: Trenta, Bonafede, Toninelli, Giulia Grillo, Bonisoli.

Ma cosa faranno i membri a 5 stelle della Giunta per le autorizzazioni? Riccardo Fraccaro, ministro grillino per i Rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta, dice che dovranno allinearsi alla volontà di Rousseau. Per la cronaca lui ha «votato sì all’interesse pubblico e dunque no al processo, perché il vicepremier Matteo Salvini ha applicato sui migranti la linea condivisa da tutto il governo».