Per coprire le disavventure giudiziarie del leader israeliano, la situazione in Medio oriente potrebbe precipitare in qualsiasi momento. Non solo in Palestina

Ci sono delle questioni essenziali a livello palestinese che potrebbero spingere la situazione già instabile verso una crisi senza precedenti. Soprattutto nel contesto di un’escalation israeliana, basata su idee estremiste sioniste, tale esplosione è legata alle imminenti elezioni del 9 aprile e all’impegno dei partiti sionisti in queste elezioni attraverso la pratica di tutte le forme di oppressione e repressione contro i palestinesi in generale e contro gli abitanti di Gerusalemme in particolare, per vincere il maggior numero di seggi nel “Parlamento – Knesset”. Approfittando così del supporto dell’amministrazione statunitense, nota per il suo sostegno ai progetti di occupazione israeliana per liquidare la causa palestinese e la cancellazione dei diritti nazionali del popolo di Palestina, il tutto con il tacito silenzio di molti Paesi arabi, specialmente nell’ambito del cosiddetto accordo del secolo, tanto sbandierato dall’amministrazione nordamericana e che sarà pubblicato dopo le elezioni israeliane

Una delle questioni che potrebbe portare a una ribellione di massa riguarda ciò che sta accadendo nella moschea di Al-Aqsa, dove l’occupante sta intensificando la sua posizione minacciando di chiudere una seconda volta la Bab al-Rahma e i suoi dintorni, spazi da poco recuperati e riaperti dai palestinesi.

In seguito a ciò, le forze di occupazione hanno intensificato gli arresti coinvolgendo anche due dei cinque avvocati impegnati attivamente contro il governo di occupazione, la sua polizia e il suo apparato di sicurezza: il governatore di Gerusalemme, Adnan Ghaith Al-Mamnouh, a cui è stata negata la possibilità di entrare in Cisgiordania, e Medhat Debeh il quale ha denunciato la totale assenza di un ordine ufficiale che impedisca la riapertura della Bab al-Rahma e ha altresì denunciato la continuazione delle deportazioni e delle espulsioni dei palestinesi da Gerusalemme e da al-Aqsa, nonché la serie di misure e pratiche punitive contro tutti i palestinesi ai quali vengono negati i diritti all’edilizia, all’educazione, oltre che i personali diritti economici e sociali.

L’altra questione riguarda l’imposta palestinese raccolta dal governo di occupazione per conto dell’Autorità nazionale palestinese. Parte dei fondi destinati agli stipendi dei palestinesi, alle famiglie dei martiri e dei prigionieri, agli onorari degli avvocati e alle spese giudiziarie, saranno trattenuti dal governo di occupazione israeliano. Questa misura va ad influenzare negativamente la capacità dell’Autorità palestinese di coprire le proprie spese correnti, mettendo tale ente in una posizione difficile e imbarazzante davanti al suo popolo.

Un’altra questione che potrebbe portare all’esplosione di una crisi prima delle elezioni israeliane è il fatto che la Striscia di Gaza è assediata e affamata da 12 anni. L’inasprimento delle misure punitive finanziarie e amministrative da parte dell’Autorità palestinese sulla Striscia di Gaza, potrebbero aumentare l’escalation a Gerusalemme e in Cisgiordania, e portare a eventuali scontri militari nella stessa Striscia di Gaza, con Hezbollah, Siria e Iran. Questo punto di ebollizione non si sta raffreddando, anzi. Tutti i segnali sono indicativi della possibile escalation, soprattutto da quando Netanyahu è stato accusato di corruzione da parte del procuratore generale israeliano Avishai Mandelblit. È inevitabile che, in seguito alla notizia, il consenso popolare alla sua candidatura cali drasticamente e il rischio per lui di perdere le elezioni è molto alto. Solo estremizzando il conflitto e aumentando la tensione sul territorio attraverso tutti i mezzi a sua disposizione, Netanyahu potrebbe distogliere l’attenzione dalla questione giudiziaria, sminuendone l’importanza. Così, da vincente agli occhi dell’opinione pubblica, si potrà difendere meglio da qualsiasi accusa di corruzione.

Netanyahu ha infatti minacciato che continuerà a colpire la presenza iraniana in Siria, e i Paesi e i partiti dell’asse di resistenza. Alla luce di ciò, sembra che la visita del presidente Al-Assad a Teheran indichi che ci sono problemi importanti e che bisogna prendere decisioni a livello unitario di vertice, tra cui quale possa essere il miglior modo per rispondere a qualsiasi nemico contro la Siria o il Libano.

L’atmosfera nella regione è molto calda: dall’esterno, a causa della dichiarazione britannica che afferma la natura terroristica di Hezbollah (Partito della Resistenza libanese) sia nella sua ala politica che militare; e dall’interno, sul territorio libanese a causa della guerra condotta contro tale organizzazione da parte dei partiti politici guidati dalle forze libanesi e dall’ex primo ministro libanese Siniora per contrastare la campagna di Hezbollah impegnata nel controllare le risorse e le spese del governo e affrontare i problemi di corruzione. Sembra inoltre che Teheran possa puntare a un eventuale arricchimento dell’uranio, alla luce dell’incapacità dei Paesi europei di trovare un sistema finanziario indipendente che consenta loro di continuare le loro transazioni commerciali scavalcando le sanzioni imposte dagli Usa sugli accordi commerciali tra Europa e Iran. Nel caso di un eventuale sviluppo, Teheran potrebbe chiudere lo Stretto di Hormuz e affrontare Trump.

Gli Stati Uniti si stanno avvicinando al momento di ritirare le truppe dall’Iraq, dall’Afghanistan e dalla Siria orientale. La Turchia sta evitando di attuare i risultati raggiunti nel vertice di Sochi, stigmatizzando il Fronte Nusra, che è classificato come un’organizzazione terroristica e ha anche sostenuto il controllo delle aree gestite da gruppi terroristici fedeli ad esso. Inoltre, continua a parlare della cosiddetta zona cuscinetto di un’estensione di venti chilometri nel territorio siriano, e rifiuta di ritornare all’accordo di Adana del 1998, che garantisce la sicurezza e la stabilità dei suoi confini con la Siria, nonché la continua aggressione da parte delle bande del Fronte Nusra contro l’esercito siriano. Il tutto farà prevalere la risoluzione militare.

Questo mese intensificherà gli eventi e gli sviluppi, e gli Stati Uniti diffonderanno devastazione, distruzione e conflitti interni, prima di concedere la sconfitta in Medio Oriente, per spostare il peso della sua attenzione verso l’Africa, l’Asia orientale e l’America Latina, per affrontare la Russia e la Cina. Il mese corrente infine sottoporrà molta pressione sia alla cosiddetta Nato Araba che al Nord America e la Turchia, per finanziare l’aspetto economico dell’accordo del secolo e per convincere i leader palestinesi ad accettarlo.

La situazione in Medio oriente potrebbe precipitare in qualsiasi momento, specialmente da quando le contraddizioni hanno raggiunto un punto di non ritorno. Non possono più essere raffreddate, devono essere risolte militarmente, in modo che possa essere creato un nuovo ordine mondiale basato sulla multipolarità e sulla fine dell’egemonia americana. Affinché il progetto nordamericano venga completamente sconfitto in Venezuela, Ucraina, Afghanistan, Iraq, Siria, Libano, Yemen e persino in Palestina, e affinché l’accordo del secolo già vacillante fallisca definitivamente, è necessario che le forze palestinesi continuino a respingerlo all’unanimità con la potenza della sua unità.