Interpretato da ottantasette donne comuni - artiste, insegnanti, attiviste, mamme, impiegate - sarà la più grande installazione vivente mai portata al Museo di arte contemporanea di Roma

Ci sono ottantasette donne dentro una bocca rossa circondata da vetrate piene di luce. Vestite di nero, tutte uguali ma tutte diverse e davanti al volto reggono una maschera che raffigura una bambina. Al suono armonioso di un gong si voltano all’unisono verso la donna alla loro sinistra e chi con sguardo dolce, chi con un sorriso, chi con timidezza, le consegnano la loro stessa maschera di bambina mentre, con l’altra mano, accolgono i sogni e la speranze della bambina alla loro destra e se la portano al volto, come a dire “io sono te, non ti lascerò da sola in questo mondo”.

Parliamo di Portrait of woman, l’installazione umana che Monica Pirone porta al Macro di Roma venerdì 8 marzo alle 16, nella Giornata internazionale della donna. Un progetto che inizia nel 2014 come una riflessione sul rapporto tra le diverse generazioni di donne e che, nel 2018, diventa una mostra dal titolo Home sweet home che mette in evidenza le sofferenze e le insidie che si nascondono in quello che dovrebbe essere il luogo di massima protezione: l’ambiente domestico.

Portrait of woman (Ritratto di donna) sarà la più grande installazione vivente mai portata al Museo di arte contemporanea di Roma. Un progetto interpretato da ottantasette donne comuni, artiste, insegnanti, attiviste, avvocate, mamme, operatrici sociali, impiegate, giornaliste, imprenditrici. Ottantasette come le donne morte in Italia, nel 2018, di quello che viene definito “femminicidio puro”, puro perché avvenuto all’interno dell’ambiente familiare, compiuto da mariti, fratelli, padri, amanti, compagni, fidanzati.

«Monica, non vuole il volto delle donne uccise, non intende mettere in scena quella parte del loro corpo dentro cui ogni senso e pensiero si sono concentrati e un giorno negati, vuole altri volti, altri corpi che si assumano la responsabilità e la potenzialità di diventare senso comune; mettendo il proprio volto di bambina in gioco, in un gioco serissimo e suggestivo, ciascuna donna, proprio perché compie il gesto di fiducia assoluta di passare il suo sé innocente ad un’altra, trasforma il compatimento da sentimento ristretto, domestico, di vicinanza quasi familiare a elemento di riflessione collettiva, di collettivo orrore che è sentimento, ma anche rappresentazione di senso politico e sociale», ci spiega Michela Becchis, curatrice della performance.

«Questo – prosegue – è il significato che Pirone dona al gesto della performance che, nella sua totale assenza di parola, mostra il potere travolgente dell’esserci con il proprio corpo, con il contenitore deflagrante del proprio vissuto. Nel volgere di questa azione collettiva Pirone ricuce insieme, sfidando il tempo, tutto il trascorso che ha trasformato la parola “persona” da maschera vuota, ripetizione immediatamente riconoscibile, la creatura carica di storia, soggettività, memoria, emozioni, relazionalità».

Ottantasette donne più una, Elina Chauvet, l’artista messicana che per prima ha raccontato, con la sua invasione emotiva di scarpe rosse, il fenomeno del femminicidio e con questa performance aprirà una serie di eventi a lei dedicati dal Macro.