In nome della sicurezza si sacrificano diritti, avverte il garante dei detenuti. In carcere resta sempre più gente con una forte minorità sociale: analfabeti, chi non ha soldi per una tutela legale appropriata, o un domicilio da dare al magistrato per avere un permesso

L’Autorità garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale esiste per prevenire i fenomeni di tortura e altre pene o trattamenti crudeli inumani o degradanti nei luoghi di privazione della libertà (carcere, luoghi di polizia, centri per gli immigrati, Rems recentemente istituite dopo la chiusura degli Opg). È un organismo forse poco noto alle cronache (ma non ai lettori di Left) tuttavia fondamentale per monitorare quegli spazi al confine della nostra società, dove gli ultimi e i più deboli spesso escono fuori dal cono di luce delle garanzie. A presiedere l’Autorità c’è dal 2016 Mauro Palma. Lo abbiamo incontrato per fare il punto di quasi tre anni di attività.

MAURO PALMA Garante dei diritti dei detenuti

A proposito del caso Diciotti, il ministro Salvini ha dichiarato: «Se arrivasse un altro barcone rifarei ciò che ho fatto». E alcuni esponenti dei 5Stelle hanno aggiunto che il sequestro dei migranti sulla nave della Guardia costiera è stato deciso in nome dell’interesse pubblico. Qual è il suo parere in merito?
Se cominciamo a stabilire che in nome dell’interesse pubblico si possono violare le norme nazionali entriamo in un terreno estremamente scivoloso. L’ordinamento prevede una serie di norme, in parte di rango costituzionale. Il problema, in generale, è stabilire da parte dell’autorità giudiziaria se queste norme siano state violate oppure no. Qualora fosse stabilito che sono state violate in nome dell’interesse pubblico poco conta, in quanto non si possono violare i principi costituzionali per salvaguardare l’interesse pubblico.
Sempre sul tema immigrazione, qual è la situazione nei Centri permanenti di rimpatrio (Cpr)?
Siamo al fallimento di ciò che il decreto Minniti prevedeva, ossia che sarebbero dovuti essere piccoli, uno per regione, e non assomigliare ad un carcere. Per ora vedo raffazzonati adattamenti dagli antichi Cie (Centri di identificazione ed espulsione). Quando il tempo di permanenza nei Cpr arriva a sei mesi il problema diventa grande. Se è tollerabile, ad esempio, la mancanza di socializzazione per circa quattro settimane al loro interno, non lo è più quando arriva a sei mesi. Per ora quello che abbiamo appurato dalle nostre visite è che i Cpr sono…

L’intervista di valentina Stella a Mauro palma prosegue su Left in edicola da venerdì 8 marzo 2019


SOMMARIO ACQUISTA