L’anziano e malato presidente, al potere dal 1999, si candida per la quinta volta. Come se nulla fosse. Eppure le sue fallimentari politiche sociali sono la causa delle continue proteste di piazza in cui disoccupati e studenti chiedono lavoro e più democrazia

Alla fine il sì dell’anziano e malato Abdelaziz Bouteflika alle presidenziali algerine del prossimo 18 aprile è arrivato con un semplice comunicato: «In risposta agli inviti e agli appelli, dichiaro la mia candidatura». Come sua abitudine, il presidente, al potere dal 1999, ha temporeggiato un po’ prima di ricandidarsi per la quinta volta alla carica più alta del Paese. Avrà incassato il pieno appoggio dell’esercito e della ricca classe imprenditoriale locale prima di annunciare il suo fatidico sì lo scorso 10 febbraio? Probabile, a condizione però che sia sempre lui ancora a decidere. I dubbi a riguardo non sono pochi: da quando è stato colpito nel 2013 da un ictus, Bouteflika è su una sedia a rotelle e ha limitato i suoi spostamenti all’estero e le sue apparizioni pubbliche in Algeria. Le sue condizioni di salute sono da tempo al centro di un accesso dibattito politico interno tra chi (i suoi oppositori) ritiene che il protagonista della «riconciliazione nazionale» dopo la brutale guerra civile degli anni Novanta non sia più adatto a governare e chi (i suoi sostenitori e soprattutto il ceto dirigente) al contrario sostiene l’esatto contrario.
«Certamente non ho più la forza fisica che avevo prima, cosa che non ho mai nascosto al nostro popolo – ha ammesso nella sua lettera di candidatura – ma la volontà incrollabile di servire la patria non mi ha mai abbandonato e mi permette di superare le costrizioni legate ai problemi di salute che ognuno di noi ad un certo punto può trovarsi ad affrontare». Bouteflika è stato sincero sulle sue condizioni fisiche, meno però quando ha promesso che, una volta rieletto, implementerà riforme sociali, politiche ed economiche. Sono infatti parole che più volte ha pronunciato, ma che finora non ha mai mantenuto.
Ma al di là della consistenza o meno delle sue promesse elettorali, la sua ricandidatura è significativa perché mostra come l’élite politica ed economica algerina non sia stata ancora capace di trovare un accordo su un “nuovo” nome che possa garantire una successione indolore al suo ventennio di governo. La sua partecipazione alle presidenziali ripropone inoltre anche una domanda inquietante: chi governa realmente il Paese?…

 

L’articolo di Roberto Prinzi prosegue su Left in edicola da venerdì 8 marzo 2019


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