«No border no nation, stop deportation», con queste grida studenti e attivisti hanno “accolto” l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti nella capitale britannica, dove si trovava per una conferenza su migrazione e sicurezza alla London school of economics (Lse). «Vergogna Minniti», «Eu border kills», questi i cartelli sventolati fuori dall’ateneo, da mani verniciate di rosso, per ricordare – spiegano i manifestanti – il sangue di cui sono macchiate le mani dell’Unione europea, con le sue politiche di respingimento dei migranti e di esternalizzazione delle frontiere. Ad organizzare la protesta, una rete di studenti universitari di Lse e della School of oriental and african studies (Soas), impegnati sul fronte della migrazione. Gli studenti, durante l’incontro, hanno posto al ministro alcune domande, come spiegano in una nota.
L’ex ministro dell’interno Marco #Minniti è stato contestato a #Londra da studenti e studentesse al grido di «No border no nation, stop deportation». La contestazione è avvenuta al termine di una conferenza sul Mediterraneo organizzata dalla LSE pic.twitter.com/GtRoGxBvj3
— global_project (@global_project) March 12, 2019
«Il 12 Marzo 2019 – scrivono gli attivisti nel comunicato – l’ex ministro degli Interni Marco Minniti ha tenuto una conferenza presso la London school of economics (Lse) sulla “situazione del Mediterraneo, migrazioni e sicurezza”. Il ministro ha provato a presentarsi come il volto pulito e razionale del governo neoliberale delle migrazioni. Ha esordito invocando la separazione tra emergenza, sicurezza e migrazioni, a suo dire, usate dalla sola destra “nazional-populista” per conquistare il consenso in Europa. Minniti ha impostato il suo discorso in linea con la retorica europeista di Macron contro chi mette in pericolo la democrazia. Pur essendoci differenze tra i neoliberali europeisti e i nazional-populisti, non possiamo che sottolineare le forti continuità a cui abbiamo assistito nelle politiche omicide della Ue di Merkel, dalla Turchia, alla Francia di Macron (da Calais a Bardonecchia e Ventimiglia), all’Italia di Gentiloni con il patto siglato con la Libia e il Niger.
Se ora la gente spara urlando “Salvini, Salvini!” e l’odio è ufficialmente sdoganato, è anche perché c’è una lunga storia di criminalizzazione delle migrazioni che affonda le sue radici nei governi di centro destra e centro sinistra, e assume infine il suo volto più feroce con le politiche di Minniti sotto il governo Gentiloni prima e Salvini e Toninelli ora.
Come attivist*, student* e ricercator* abbiamo posto delle domande al ministro ricordandogli che lui ha ampiamente favorito la dimensione emergenziale del governo delle migrazioni che a Lse ha voluto contestare. Dal supposto rischio per la democrazia posto dai flussi migratori, al codice di condotta per le Ong che ha innescato la loro criminalizzazione, al diritto etnico che ora regola il diritto d’asilo, fino al governo neoliberale ed autoritario della povertà, con la sua potente razzializzazione, implicito nelle misure sul Daspo urbano, sindaci-sceriffi e senza tetto.
Infine, dopo avergli fatto notare che a seconda del pubblico egli ritaglia le sue risposte, ricordandogli le dichiarazioni al festival di Atreju dei giovani di Fratelli di Italia in cui si vantava di aver difeso i confini meglio dei governi di destra, egli si è abilmente sfilato parlando di quando da giovane, “quando era di sinistra”, nel Pci, doveva fare a botte con i fascisti a Reggio Calabria per andare al liceo. Non ci crediamo a questa narrativa. La sua teoria della sicurezza oltre destra e sinistra (presentata con il suo centro studi Icsa lanciato nel 2009) è la naturalizzazione di una gestione della marginalità e delle migrazioni totalmente assorbite nel discorso securitario e neoliberale.
Nelle poche domande che abbiamo potuto fargli, gli abbiamo chiesto perché morire in mare dovrebbe essere meno grave che essere torturati o violentati in Libia o morire nel deserto. Ci ha risposto che entrambe sono morti inaccettabili ma ha deviato il discorso sui cosiddetti. trafficanti di esseri umani. Gli abbiamo infine ricordato che se ci sono i trafficanti è perché l’Europa non ha approntato canali umanitari e ha anzi fatto accordi con loro in Libia.
Gli abbiamo quindi mostrato le mani rosse per ricordargli che la sua retorica non copre il sangue versato – e invisibilizzato – dalle politiche europee. Lo abbiamo seguito giù per le scale dove poi ha trovato una cinquantina di attiviste ed attivisti con cartelli e mani tinte di rosso fuori da Lse. L’ex ministro ha cercato un’altra uscita ma non gli è stato possibile e così è dovuto passare attraverso il nostro presidio che gli ha ricordato con forza le sue responsabilità.
Il nostro intento è stato quello di porre l’attenzione sulla maniera in cui le azioni dell’ex Ministro Minniti hanno favorito l’attuale situazione dei migranti nel Mediterraneo e in Libia.
In qualità di Ministro degli Interni, Minniti ha messo in atto le seguenti manovre:
1) Esternalizzazione delle frontiere dell’Unione Europea in Libia e chiusura della rotta del Mediterraneo. Nel febbraio 2017, l’Italia e il governo al-Sarraj hanno firmato il Memorandum di Intesa, volto a porre fine alle partenze dei migranti diretti in Italia attraverso il Mediterraneo, privilegiando la sovranità nazionale e dell’unità territoriale a discapito della protezione dei richiedenti asilo. Tale Memorandum di Intesa è in contrasto con il principio di non respingimento, uno dei cardini della Convenzione di Ginevra e del diritto internazionale consuetudinario, che impedisce agli Stati di respingere i richiedenti asilo in Paesi in cui sono a rischio di persecuzione. Nel marzo 2017, un gruppo di sei avvocati, giuristi e politici libici è riuscito a vincere il ricorso in appello e, di conseguenza, ad ottenere che la corte di Tripoli sospendesse il Memorandum di Intesa, giudicandolo incostituzionale e illegittimo. Ciononostante, tale accordo, incaricando la Guardia costiera libica di intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli in Libia, ha condannato questi ultimi alla reclusione nei centri di detenzione libici. Minniti ha tuttavia continuato a stringere molteplici accordi con le ‘autorità’ libiche (molte delle quali costituite da milizie armate, gruppi para-statali, spesso coinvolti nel traffico di esseri umani) e ha segretamente negoziato un accordo al fine di mettere in ‘sicurezza’ i confini libici (marzo 2017). Inoltre, ha promosso un’ulteriore esternalizzazione dei confini europei, fornendo supporto e fondi alle pattuglie di frontiera libiche al confine meridionale e alla guardia costiera libica nel Mediterraneo. Tale politica è stata approvata da 27 rappresentanti dell’Unione europea durante l’incontro del Comitato degli Affari internazionali nel luglio 2017.
2) Criminalizzazione della solidarietà e del sostegno nei confronti dei migranti. Durante l’estate 2017, Minniti è stato responsabile dell’introduzione del Codice di Condotta per le Ong, criminalizzando la pratica del salvataggio e della solidarietà, portata poi agli estremi dal ministro degli Interni Matteo Salvini. L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha definito il Codice di Condotta ‘un esercizio di giurisdizione in disaccordo con i principi fondamentali del Diritto del mare’, che sfocia nella ‘diminuzione oggettiva della capacità delle Ong di operare in mare al fine di salvare vite’, in quanto proibisce di trasferire persone su altre imbarcazioni, anche qualora fossero in pericolo di vita. Inoltre, nonostante le numerose prove delle pericolose azioni messe in atto dalla guardia costiera libica contro le norme di base per la sicurezza in mare, il Codice di Condotta impone alle Ong di cooperare con quest’ultima nelle operazioni di ricerca e salvataggio, sia entro che oltre i confini delle acque libiche. Infine, il Codice di Condotta prevede la presenza di ufficiali di polizia armati sulle imbarcazioni delle Ong e pretende la collaborazione di queste ultime alle investigazioni, nonostante ciò sia in contrasto con il principio umanitario di neutralità delle Ong.
3) Riduzione dell’accesso alla giustizia per i richiedenti asilo, contemporaneamente ad un aumento delle deportazioni. L’obiettivo principale del Decreto Minniti-Orlando (aprile 2017) è stato quello di ‘accelerare i procedimenti in materia di protezione internazionale’ e contrastare ‘l’immigrazione illegale’. Il provvedimento, eliminando un grado di giudizio per i ricorsi relativi alle richieste di asilo e rimuovendo la necessità di comparire dinnanzi al giudice per il primo grado, non solo incide negativamente sulle possibilità di ottenere la protezione internazionale ma favorisce inoltre la creazione di un sistema di giustizia discriminatorio. Infatti, la riduzione a due gradi di giudizio per provvedimenti inerenti al riconoscimento di diritti umani fondamentali appare altamente discriminatoria in un sistema giudiziario che garantisce tre gradi di giudizio anche per semplici contravvenzioni al codice della strada. Inoltre, il Decreto prevedeva la costruzione di un centro di detenzione ed espulsione in ogni regione italiana, con una capacità fino a 1.600 persone.
Queste politiche hanno portato a centinaia di migliaia di persone intrappolate in Libia, detenute arbitrariamente, torturate, violentate, schiavizzate e sfruttate. Hanno anche implicato una significativa limitazione del lavoro di salvataggio delle Ong, il che ha portato ad un aumento del tasso di vittime nel Mar Mediterraneo. L’attuale ministro degli Interni Matteo Salvini non solo ha implementato politiche ancora più raccapriccianti sulla questione migratoria (per esempio la strategia dei ‘porti chiusi’ e il Decreto Sicurezza, che ha portato all’abolizione della protezione umanitaria e al sostanziale smantellamento del sistema Sprar) ma ha anche favorito l’esponenziale aumento di discorsi di odio e episodi di discriminazione razziale, aumentati drammaticamente nell’ultimo anno.
Denunciando a gran voce queste politiche, il nostro intento è quello di sottolineare che le azioni di Salvini, nei confronti della questione migratoria, sono in continuità diretta con quelle avanzate inizialmente dall’ex ministro Minniti. Di conseguenza, cogliamo questa occasione per denunciare le politiche disumane messe in atto in Italia sia dell’ex governo di centro sinistra che dall’attuale coalizione di governo di estrema destra, le quali sono state ampiamente supportate dall’Unione Europea. Contro le politiche razziste, di esclusione e di morte, ad oggi dominanti in Europa, facciamo appello ad una radicale riconsiderazione dei regimi di mobilità, a partire dalla fine dall’esternalizzazione delle frontiere dell’Unione Europea – un atto dal forte stampo neocoloniale -, la riforma del Regolamento di Dublino, e dalla rimozione del sistema dei visti, che rendono impossibile per la gran parte della popolazione mondiale di viaggiare in maniera legale e sicura».