«Abbiamo la vostra stessa impazienza che su ogni aspetto della morte di Suo fratello si faccia piena luce e che ci siano infine le condizioni per adottare i conseguenti provvedimenti verso chi ha mancato ai propri doveri e al giuramento di fedeltà». L’ha scritto, in una lettera recapitata a Ilaria Cucchi, il generale dei carabinieri Giovanni Nistri preannunciando la costituzione di parte civile dell’Arma nel processo e, di fatto, annunciando la messa da parte degli eventuali colpevoli che risulterebbero così indegni di indossare la divisa e ovviamente in dovere di risarcire economicamente l’infangamento dell’Arma dei carabinieri.
Quella lettera, oltre ad essere ovviamente un’ottima notizia e balsamo solidale per Ilaria Cucchi smentisce di fatto due malsane dicerie che giravano da un pezzo e che meritano di essere smontate.
Primo: l’Arma non è una corporazione in cui sono tutti bravi, belli e puliti oppure sono tutti criminali, sporchi e cattivi. Come tutte le comunità hanno mele marce (come per i commercialisti, gli scrittori, i geometri e qualsiasi altra categoria professionale) e il giochetto di difenderli a spada tratta non sta in piedi, no. Quindi per tutti quelli che insistono nel dire “io sto con i carabinieri” la costituzione dell’Arma come parte civile dimostra che invece bisognerebbe stare con le vittime. I carabinieri non hanno bisogno di sindacalisti senza senso della realtà né tra i politici né tra i commentatori Facebook.
Secondo: che piaccia o no Stefano Cucchi non doveva morire. Se poi per qualcuno se l’è meritato è qualcosa che vi gestite con la vostra coscienza (se ne avete). Non deve morire nessuno nel momento in cui è affidato alle mani dello Stato e questo spirito vendicativo non ha niente a che vedere con il diritto e la giustizia.
Volendo ce n’è anche un terzo: la costituzione civile dell’Arma dei carabinieri dimostra che sì, Ilaria Cucchi ha cercato a tutti i costi visibilità. Visibilità che è servita a disseppellire una storia che più di qualcuno voleva mettere a tacere.
Buon martedì.