L’atto fondatore della nostra democrazia è ancora sotto attacco. Dopo anni di revisionismo di centrodestra e centrosinistra, Salvini nega la Liberazione riducendola a una storia di «fascisti e comunisti». Ma lo scontro sulla memoria è così duro perché la Resistenza è ancora viva

Difficile immaginare un omologo di Salvini, come ruolo istituzionale, che in Francia annunciasse di disertare le manifestazioni della giornata dedicata alla presa della Bastiglia, il 14 luglio, o negli Stati Uniti quelle in cui si celebra l’Indipendenza, il 4 luglio. Invece il ministro degli Interni non solo ha annunciato di non andare alle manifestazioni per il 25 aprile ma lo ha ridotto ad una storia di “fascisti e comunisti”.

C’è da dire che non è il primo, né il solo, a prendere le distanze da quella data e da quella storia. Fu già Berlusconi a proporre di cambiare nome alla festa della Liberazione per ribattezzarla festa della libertà. A cancellare il dato che la libertà fu una conquista della Liberazione e cioè di una lotta, anche armata, contro un regime. Una lotta partigiana, di donne e uomini che regime ed invasori nazisti chiamavano «banditi». Il fatto che le prese di distanza dal 25 aprile siano ripetute nel tempo fa capire il peso che ha la battaglia sulla memoria e sulla storia. Particolarmente in un Paese come il nostro dove accadono, come si diceva, cose impensabili in Francia o negli Usa. L’Italia si conferma una democrazia fragile ed esposta, non a caso uscita da un regime come quello fascista a prezzo di una guerra e grazie ad una lotta che richiese il massimo dei sacrifici, quello di dare anche la vita per la libertà. Non una storia di «fascisti e comunisti» come banalizza Salvini, ma la storia di un regime fascista, alleato con i nazisti, sconfitto non solo in guerra ma dalla Resistenza di cui furono parte comunisti, socialisti, popolari, liberali e democratici. Questo è l’atto fondatore della nostra Repubblica, il momento in cui nasce la democrazia. Se viene così pesantemente rimesso in discussione, in modi ripetuti, c’è però da chiedersi perché e perché sia possibile.

Una parte della risposta è sotto gli occhi di tutti noi. L’Italia in cui viviamo ormai da un trentennio e forse più si è andata sempre più allontanando da quella immaginata quel 25 aprile. È una Italia che ben difficilmente possiamo ancora dire che sia fondata sul lavoro, che cerchi l’eguaglianza, che ripudi la guerra, che bandisca le discriminazioni razziali. Purtroppo sta in una Europa e in un mondo che complessivamente hanno fatto girare indietro le lancette della storia col pretesto di considerarla ormai finita.

Una Europa in cui si è provato e si prova a considerare l’’89 e non il ’45 quale data di nascita, come a relegare fascismo e nazismo a una parentesi da rimuovere o almeno circoscrivere, facendo della caduta del muro di Berlino il vero inizio delle magnifiche sorti e progressive. Un mondo in cui la glob…

 

L’articolo di Roberto Musacchio prosegue su Left in edicola dal 19 aprile 2019


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