Dopo l’inchiesta di Left sulla carenza di specialisti nel servizio pubblico qualcosa inizia a muoversi. Forse ci sarà lo sblocco parziale delle assunzioni e pare ci siano i soldi per più borse di studio. Ma sapremo presto se quelle del governo sono solo promesse pre elettorali

Le Cassandre avevano ragione. La carenza di medici, vissuta quotidianamente da anni quasi in ogni ospedale d’Italia, sta ora venendo alla luce anche su altri media nazionali. In realtà, dall’articolo di Lorenzo Fargnoli su Left del 21 dicembre 2018 la situazione è in rapida evoluzione a conferma che è un problema, è reale ed è serio. Il personale sanitario è la componente più pregiata e meno sostituibile della sanità ma anche di gran lunga la più costosa incidendo per oltre il 70% sulla spesa sanitaria; non a causa degli stipendi (in realtà meno elevati di tanti Paesi europei) ma semplicemente perché c’è bisogno di parecchio personale.

In molti ospedali e per alcune specialità la mancanza di medici è già oggi critica con turni e carichi di lavoro talmente ravvicinati e pesanti da mettere a volte a rischio anche la qualità e la sicurezza delle cure. E c’è il rischio concreto di chiusura di alcuni servizi. Già nel 2018 mancavano 10mila specialisti che, con l’impennata dei pensionamenti dovuti alla famigerata legge Fornero, diventeranno molti di più tra pochissimi anni. Accade così che i pochi concorsi, soprattutto nelle regioni malmesse e nelle sedi disagiate, vanno sempre più spesso deserti aggravando in tal modo precedenti criticità. Oggi nel Servizio sanitario nazionale lavorano circa 105mila medici (tutti specialisti) e 270mila infermieri, più altro personale per un totale nel 2017 di 647mila unità con una perdita dal 2009 di 46.500 unità. L’Eurostat ci dice inoltre che abbiamo i medici più vecchi d’Europa: ben il 54% di loro ha più di 55 anni. Secondo uno studio molto recente del sindacato medico Anaao le specialità più carenti, pur variando da regione a regione, nell’ordine sono: medicina d’urgenza (-4241), pediatria (-3394), medicina interna (-1878), anestesia e rianimazione (-1523), chirurgia generale (-1301), psichiatria (-944), ecc. In crescita anche un altro fenomeno: almeno un quarto dei preziosi neo specialisti preferisce il ricco privato rispetto ad un pubblico che, con bassi stipendi e molti disagi, è diventato molto meno attrattivo. Previsioni fosche anche per i medici di base; pure loro per esercitare devono aver superato un corso di formazione triennale cui possono però accedere solo circa 1100 medici ogni anno; numero del tutto insufficiente a coprire il buco di 34mila unità conseguente ai pensionamenti da oggi al 2028. Per quanto riguarda gli infermieri del Ssn la situazione è forse leggermente (si fa per dire) migliore: sono in tutto circa 270mila e secondo varie stime ne mancherebbero da 35mila a 50mila con una possibilità di pensionamento con quota 100 nei prossimi anni di altre 22mila unità circa; a differenza dei medici non ci dovrebbero essere grossi problemi a reperirli (se però venissero autorizzati i concorsi).

Una situazione quindi in cui c’è da stare davvero poco allegri.

Ma come si è giunti a questo punto? Le risposte, oltre alla storica incompetenza tecnica, l’inconsistenza politica e interessi di vario genere, sono diverse, partono da lontano e poggiano su due elementi strutturali: il blocco quasi completo delle assunzioni e l’incapacità, anche per carenza di finanziamenti, delle università di diplomare più specializzandi.

Solo 10mila ragazzi su 70mila riesc….

L’articolo di Quinto Tozzi prosegue su Left in edicola dal 19 aprile 2019


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