Presentata come strumento per far pagare gli articoli ai big del web e limitare il loro strapotere, la norma Ue sul diritto d’autore voluta dai grandi gruppi editoriali rischia invece di punire i piccoli media. E di produrre effetti collaterali devastanti sulla libertà di espressione

Con 348 voti favorevoli, 274 contrari e 36 astenuti, il Parlamento europeo ha approvato la nuova direttiva sul copyright, che ha ricevuto poi semaforo verde dal Consiglio Ue (contrari Italia, Lussemburgo, Olanda, Polonia, Finlandia e Svezia). Un provvedimento contestatissimo, che ha richiesto due anni per arrivare all’approvazione definitiva e che ha visto confrontarsi due schieramenti piuttosto bizzarri. Da una parte si sono schierate le associazioni che raccolgono gli autori e i grandi gruppi editoriali. Dall’altra i giganti di Internet, capitanati da Google, al fianco di attivisti per la libertà d’informazione e associazioni senza fini di lucro come Wikipedia. Al centro dello scontro due articoli della direttiva (15 e 17) che, secondo i detrattori della direttiva, potrebbero avere effetti devastanti sull’Internet che conosciamo. La verità, però, è che chi ha sponsorizzato l’approvazione dei due articoli in questione sta semplicemente cercando di giocare d’azzardo.

Partiamo dall’articolo 17, che prende di mira le piattaforme online (stiamo parlando in buona sostanza di YouTube e Facebook) e prevede una loro responsabilità nel caso in cui i loro utenti pubblichino contenuti protetti da copyright. L’articolato prevede per le piattaforme due possibilità: o impedire la pubblicazione del materiale coperto da diritto d’autore, o trovare un accordo per ottenere una “licenza” che si estenderebbe a ciò che viene pubblicato dagli utenti. Tradotto: gli autori stanno chiedendo che Facebook e YouTube gli paghino un risarcimento per i mancati introiti dovuti alla circolazione delle loro opere sulle piattaforme. Lecito? Teoricamente sì. Ma il meccanismo fa acqua da tutte le parti.

La norma, infatti, obbliga i gestori delle piattaforme a profondere il “massimo impegno” per impedire il caricamento dei contenuti illegali e, visto che è impensabile affidare questo compito a delle persone in carne e ossa, ci troveremo con una serie di filtri automatici che decideranno cosa possa essere caricato e cosa no. Il risultato sarebbe una sorta di censura preventiva sui contenuti pubblicati che potrebbe arrivare a livelli surreali. Per evitare guai Facebook potrebbe anche decidere, per esempio, di impedire la condivisione del saggio di danza della nipotina se la musica di sottofondo è protetta da copyright. Insomma: il rischio è di trovarci con una rete più povera di contenuti e una sostanziale stretta alla libertà di informazione.

Ma cosa c’è sull’altro piatto della bilancia? La speranza (neanche tanto nascosta) degli autori è semplicemente quella di riuscire a scu…

 

L’articolo di Marco Schiaffino prosegue su Left in edicola dal 19 aprile 2019


SOMMARIO ACQUISTA