Eduard Cristian Timbretti Gugiu ha sedici anni. È nato a Cuneo ed è un tuffatore. Dicono che sia uno di quei tuffatori che qui in Italia ci sogniamo da anni, capace di figure incredibili che gli hanno fruttato 16 titoli nazionali italiani. O meglio, che avrebbero dovuto fruttargli 16 ori nei campionati nazionali ma Eduard non esiste. Non esiste. I suoi genitori rumeni lo costringono a sparire sul più bello e quindi nella classifica scivola al quarto posto. Come se non esistesse. Come se avesse una singolare penalità che qui, dalle nostre parti si chiama cittadinanza. Finora gli è successo sedici volte, nei campionati giovanili, in attesa che le carte risultino a posto e finalmente possa essere cittadino, atleta e italiano a tutti gli effetti.
È solo una delle tante storture di una legge retrograda e vergognosa ma forse questa storia fa ancora più rumore perché le penalità, il mancato riconoscimento del talento sono reali, tangibili, ben segnalati sul tabellone dei concorrenti come se l’onta sia un avversario che no, non si può sconfiggere nemmeno con il tuffo perfetto.
«Ho chiesto la cittadinanza nel 2016 ma prima servivano 24 mesi mentre con le nuove regole del decreto Sicurezza (che è un disastro anche su questo fronte, segnatevelo, nda) ce ne vogliono 48», spiega Eduard, e quindi il primo treno da prendere, che sono le Olimpiadi di Tokyo del 2020 in realtà potrebbe già essere perso. Perché Eduard per ora non può partecipare nelle gare internazionali (non esiste, appunto) e il padre può solo rammaricarsi per essere nato dalla parte sbagliata del mondo.
Eppure Eduard frequenta il liceo scientifico (con una media di sette e mezzo) e tutti i giorni dall’una è già pronto per andare in piscina. Dico, cosa gli manca per essere un buon cittadino nei suoi sedici anni? Una politica aperta, inclusiva e moderna: merce rarissima di questi tempi.
E anche se il suo allenatore ricorda come Eduard faccia tuffi con coefficienti di difficoltà inimmaginabile per lui (Claudio Leoni, oggi poliziotto, è stato membro della squadra nazionale) ciò che conta è la frase conclusiva: «Eduard è un ragazzo italiano in tutti e per tutto», dice.
Ma evidentemente no, non basta.