Gabelle per l’esposizione dei prodotti sugli scaffali, pressioni sui fornitori per dopare i prezzi, sconti logistici, e poi, ultima tendenza, l’imposizione del marchio del distributore, il private label. Così il sistema della grande distribuzione organizzata stritola produttori e lavoratori

Un sistema che vive di tangenti più o meno occulte». Forse, quando ha definito in tal modo il business dei supermercati dove ogni giorno andiamo a riempire frigo e dispensa, l’ex buyer “pentito” Luigi Asnaghi non sapeva cosa avrebbe scoperchiato. Il suo mestiere era quello di “fare la spesa”, per così dire, per una insegna della cosiddetta Grande distribuzione organizzata (Gdo). In concreto, il suo compito era reperire frutta e verdura dai vari fornitori, che sarebbe poi finita sugli scaffali. In bella mostra, tra le corsie dei negozi, di solito all’ingresso, per attirare i clienti con un biglietto da visita “genuino” e “green”. Così, a causa del suo impiego, è venuto in contatto con un mondo che – come ha scritto in una lettera aperta ad un giornale di settore – «si illude di continuare a trarre ricavi e di conseguenza basa i propri conti economici su sconti di fine anno, contributi promozionali, contributi centralizzazione e mille altre gabelle spacciate con giustificativi che farebbero invidia al miglior Machiavelli». Un insieme di “richieste”, in equilibrio sul sottile confine tra legale ed illegale, che la Gdo presenta quotidianamente ai propri fornitori, per dopare il prezzo di acquisto dell’ortofrutta e aumentare i dividendi. In un quadro che di genuino, a ben vedere, ha ben poco. A sostenerlo non è soltanto un operatore “pentito”. Le accuse sono ribadite pure da un’indagine dell’antitrust (Indagine conoscitiva n.43). In cui si fa esplicito riferimento a «elementi di criticità» nel funzionamento della Gdo, rilevati con un sondaggio tra le imprese che la riforniscono. I grossisti lamentano l’imposizione di sconti e contributi non richiesti, col “ricatto” del temutissimo delisting – il loro vero incubo – ossia l’esclusione dai circuiti distributivi. L’antitrust, di queste “gabelle machiavelliche”, ne ha censite di svariati tipi. «Sconti logistici», «premi finanziari», «esposizione preferenziale», «contributo per nuove aperture». In teoria si tratta di servizi accessori. In pratica, per fare un esempio, la catena di supermarket apre un nuovo punto vendita? Tu forn…

L’inchiesta di Leonardo Filippi prosegue su Left in edicola dal 26 aprile 2019


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