Olof Palme, Carlo Rosselli, Thomas Sankara: tre personaggi la cui fine tragica ha interrotto la loro vita, ma non i percorsi di rinnovamento politico e sociale di cui sono stati iniziatori e protagonisti. Con la loro morte sono stati, però ritardati e comunque non hanno potuto esprimere tutte le loro potenzialità. Si tratta dei personaggi scelti per il convegno “Contro la crisi globale della democrazia” di venerdì 3 maggio a Milano.
Invitato dagli organizzatori, il Movimento Roosevelt, a fare un ritratto dell’ex primo ministro della Svezia Olof Palme, per prima cosa credo che la sua figura sia da accostare a personalità come Giacomo Matteotti, Antonio Gramsci e Salvador Allende. Sono, infatti, tutti esempi del valore della testimonianza. Non per un singolo atto eroico, ma per un impegno personale e politico di tutta una vita, senza mai perdere i sensi della missione di cui erano esponenti e protagonisti, ma senza mai l’arroganza e la superbia dei leader contemporanei prodotti e gonfiati dai media e senza aver mai esercitato un potere assoluto e senza limiti o aver incentivato o tollerato alcuna forma di culto della personalità, anche quando erano capi di Stato o di governo.
Olof Palme è nato nel 1927 ed è morto assassinato, mandanti e killer rimasti sconosciuti, il 28 febbraio 1986 a Stoccolma all’età di 59 anni, quando era primo ministro, rinominato nel 1982 dopo esserlo stato dal 1969 al 1976. La sua origine sociale, da una famiglia della grande borghesia con radici in Svezia, Finlandia e Lettonia e i suoi studi, scuola superiore per élite e accademia militare, non lasciavano certo presagire il suo impegno successivo nella socialdemocrazia per la giustizia sociale, il disarmo e lo sviluppo del Terzo mondo.
In Olof Palme un ruolo decisivo fu giocato da una borsa di studio americana, che gli consentì di visitare nei weekend le fabbriche e di relazionarsi con sindacalisti. Alla fine intraprese un viaggio attraverso 34 Stati degli Usa e questa esperienza statunitense, secondo una sua elaborazione posteriore, fu alla base della sua opposizione all’ingiustizia sociale. Un viaggio che come quello di Ernesto Guevara in America Latina motivò per sempre le sue scelte future. Di ritorno in patria si iscrisse all’Università di Stoccolma e all’Associazione degli studenti socialdemocratici. Alla fine degli studi divenne segretario di Tage Erlander, il mitico presidente del Sap (Sveriges socialdemokratiska arbetareparti), il Partito dei lavoratori svedesi e primo ministro dal 1946 al 1969.
Alle sue ultime elezioni prima dell’introduzione del monocameralismo nel 1968 la socialdemocrazia vinse con la maggioranza assoluta, mentre toccò a Palme perdere le elezioni del 1976 con il 42,7% il peggior risultato dalle elezioni del 1932, pur restando e lo sono tuttora il primo partito svedese dal 1917. La prima sconfitta socialdemocratica svedese, con un percentuale superiore al 40%, rappresenterebbe ora un miraggio per la stragrande maggioranza dei partiti del Pse (Partito socialista europeo, ndr) e del complesso dei partiti di sinistra in Europa.
Un piccolo Paese neutrale ha così potuto giocare un ruolo internazionale importante contro la guerra nel Vietnam, per il disarmo e la distensione Est-Ovest, la liberazione delle colonie portoghesi in Africa, la fine dei regimi dittatoriali in Europa (Spagna, Portogallo e Grecia) e contro l’apartheid in Sud Africa. Quest’ultima battaglia era tanto vigorosa che, quando nell’attentato terrorista all’aereo della Pan Am di Lockerbie il 31 dicembre 1988 trovò la morte il già Segretario generale dell’Internazionale socialista, fraterno compagno e amico, Bernt Carlsson, socialdemocratico svedese, i primi sospetti si appuntarono sul Boss (Bureau for State security, ndr) del Sud Africa, mentre fu opera del colonnello Gheddafi.
La figura di Palme, d’altro canto, è anche rappresentativa dei problemi del socialismo democratico e della sinistra, anche in un Paese che ne costituiva una roccaforte, per non essere stato in grado di risolvere le crescenti contraddizioni tra il perseguimento della tradizionale politica socialdemocratica di fronte ai problemi economici provocati dalla crisi petrolifera del 1973 e alle sempre maggiori difficoltà di realizzare le riforme sociali e di rispondere alle esigenze sindacali di dare corpo al piano Meidner (Rudolf Meidner, economista svedese socialista, ndr) con la creazione del Fondo azionario per i lavoratori, che avrebbe portato al controllo della produzione industriale svedese senza esproprio. Sempre la crisi petrolifera motivò la decisa scelta di Palme per l’energia atomica. Era convinto che fosse una tecnica amica dell’ambiente e che avrebbe facilitato una più alta crescita e una società egalitaria. La scelta divise il partito e portò alla fondazione del movimento politico Verde, con una forte politica di protezione dell’ambiente.
Ne seguì un cambiamento del sistema politico svedese dopo l’elezione vinta da Palme nel 1985, dove per l’ultima volta si confrontarono ancora cinque partiti: tre borghesi e due di sinistra, il Sap e il Vänsterpartiet (Vp, Partito della sinistra) erede del Partito comunista svedese. Nel 1988 i partiti rappresentati in Parlamento salirono a sei con l’entrata dei Verdi con 20 seggi, mentre i Democristiani rimasero fuori non avendo superato la soglia del 4%. A partire dal 1991 i partiti salirono a sette con l’entrata dei Democristiani e di Ny Demokrati (Nuova democrazia), un partito liberista, nazionalista e populista e l’uscita dei Verdi. Dal 1994 al 2006 i Verdi rientrarono in Parlamento e insieme a Sap e Vp formarono maggioranze rosso-verdi, quando non vincevano i quattro partiti borghesi, rimanendo sotto soglia i Democratici svedesi (Sd, Sverigedemokraterna, di estrema destra) pur in costante crescita (2,93% nel 2006). Con l’irruzione di Democratici svedesi nel 2010 con il 5,70% e 20 seggi si altera una volta di più il sistema politico del Paese scandinavo, mettendo fine al tradizionale bipolarismo tra Sinistra e Blocco borghese con l’ottavo partito, nazionalista e xenofobo. Il nuovo assetto è stato confermato e rafforzato nel 2014 con il 12,9% e 49 seggi e nel 2018 con Sd al 17,5% e 62 seggi.
In Scandinavia fenomeni analoghi si sono verificati in Danimarca e Norvegia con il Partito del progresso (anche qui non fate caso al nome) e i Veri finlandesi in Finlandia. L’Italia dal 2013 non è quindi un’eccezione.
I nuovi partiti nazionalisti e xenofobi non sono soltanto una minaccia per la sinistra, ma anche per la democrazia in quanto la loro crescita, è il caso della Svezia, sottrae consenso al centro-destra. Se il voto di destra e centrodestra si salda con i movimenti estremisti non ci sono prospettive di vittoria elettorale per la sinistra in quasi tutti i Paesi europei. E gli spazi si riducono ulteriormente, quando i partiti socialisti aderiscono alle politiche di austerità e di smantellamento del welfare, e passa il messaggio dei populisti che le leggi sociali possono essere conservate, ma solo per i cittadini autoctoni, non per gli stranieri. Ha indebolito la socialdemocrazia la perdita di un impegno internazionale paragonabile a quello sviluppato negli anni 70 e 80 con persone come Palme, Brandt, Gonzalez, Soares o Mitterrand, anche se socialisti come Antonio Guterres, nono segretario delle Nazioni Unite, dopo essere stato Alto Commissario per i rifugiati, sono presenti sulla scena internazionale dopo essere stato presidente dell’Internazionale socialista dal 1999 al 2005.
Il destino del socialismo europeo è in grave difficoltà, dopo una serie di sconfitte elettorali, che in Paesi come la Francia e l’Olanda hanno condannato i loro partiti all’irrilevanza, o li hanno ridimensionati in Germania e in Paesi già loro bastioni, come la Danimarca e la Norvegia. Nei Paesi dell’Europa centrale ed orientale il problema è quello di partiti in parte eredi dei partiti comunisti al potere, passati senza una pausa socialdemocratica all’adesione al liberismo e al sistema capitalista senza controlli. Dovessi scegliere una definizione più precisa per questo destino parlerei di eclisse del socialismo democratico piuttosto che di tramonto. Nell’iconografia socialista degli inizi il sole dell’avvenire è un sole che sorge e forse si incominciano a vedere i primi raggi o luci dell’alba con le vittorie nelle elezioni più recenti dei partiti socialisti di Finlandia e Spagna, sconfiggendo la destra vecchia e nuova.
Una rinascita socialista è necessaria per la sinistra nel suo complesso, perché le perdite socialiste, con la sola eccezione della Grecia, hanno fatto transitare voti alle forze alla loro sinistra solo in misura ridotta. La sinistra dovrà impedire che la dialettica politica in Europa si riduca alla sterile contrapposizione tra “europeisti” e “sovranisti”.