Dopo le elezioni del 28 aprile su 350 deputati ben 164 sono donne. Non era mai accaduto prima. Il movimento femminista ha acquisito negli ultimi due anni un grande peso politico soprattutto dopo le proteste in piazza per la sentenza della “manada”, su un caso di violenza sessuale

«Haz que pase», «fai che succeda»: lo slogan della campagna del Psoe ben si presta a descrivere l’attuale situazione delle donne nella politica spagnola. Quello eletto il 28 aprile scorso sarà il Parlamento con la più alta componente femminile nella storia della democrazia spagnola: su 350 deputati ben 164 sono donne (il 47%), percentuale che avrebbe potuto superare il 50% se solo Vox e Ciudadanos avessero seguito le medie degli altri partiti. In Spagna l’equa rappresentanza di donne e uomini alla Camera, come in tutti i settori pubblici, è garantita da una legge approvata nel 2007. La cosiddetta “legge dell’uguaglianza” prevede che ogni genere non possa avere una rappresentazione minore del 40% e superiore al 60%.
«No es no e non c’è possibilità che sia sì se la risposta è no». È con queste parole che Pedro Sánchez, premier uscente e prossimo alla riconferma, ha ribadito a più riprese durante la campagna elettorale le sue posizioni a sostegno dei diritti delle donne. Molti sono stati in questi mesi i richiami ai temi femministi, come ad esempio «il corpo di una donna non è un taxi» e «il femminismo non ha come nemico gli uomini ma il machismo». Era da 11 anni, dai tempi di José Luis Zapatero, che il Psoe non vinceva le elezioni politiche. Stavolta la differenza l’hanno fatta Pedro Sánchez e le donne, diventando uno la forza dell’altro: il socialista Sánchez, alla guida del suo primo governo, composto prevalentemente da ministre, aveva già posto al centro del suo programma la questione dei diritti, con la lotta contro le disuguaglianze di genere e contro le violenze machiste. Temi, questi, ripresi con grande forza anche durante l’ultima campagna elettorale. Le donne dal canto loro, finalmente rappresentate sia nei temi sia nelle stanze del potere, hanno risposto presente alla richiesta di partecipare al voto e si sono mobilitate per far sì che il blocco delle destre formato dal Partido Popular, da Ciudadanos e da Vox (che da dicembre governano insieme in Andalusia) non prevalesse il 28 aprile. Aver fermato Vox al 10,2%, nonostante tutto, è un buon risultato, considerando quello che avviene nel resto d’Europa, dove l’ultra destra riesce a fare grande presa nella società. La grande partecipazione delle donne è riuscita a frenare una possibile deriva a destra, permettendo alla Spagna di rimanere una nazione aperta ed inclusiva. La minaccia non era da poco, visto che Vox, guidato dall’ex PP Santiago Abascal, proponeva il ritorno a una Spagna convintamente cattolica, armata, allergica ai diritti delle donne e pericolosamente ammiccante al franchismo. Negli ultimi giorni di campagna elettorale questi argomenti sembravano aver convinto un’importante fetta dell’elettorato e i delusi, tanto che i sondaggisti per paura di non intercettare un “voto occulto” si erano astenuti dal fare previsioni certe e c’era chi era pronto a scommettere che Vox sarebbe riuscito a toccare quota 20%.
Va ricordato che nel Paese iberico il movimento femminista ha assunto una forza e un peso politico non indifferente negli ultimi 2 anni, da quando per uno stupro di gruppo cinque uomini sono stati condannati a soli 9 anni di carcere per abuso sessuale. La sentenza della manada (il branco) ha scatenato in Spagna le proteste contro un sistema giudiziario considerato patriarcale e discriminatorio. Per questo le donne hanno deciso di scendere in piazza per mesi, affollando i social network, facendo pressioni e affermando che la società spagnola non era disposta a retrocedere sul tema dei diritti. Non è quindi un caso se lo scorso 8 marzo a Madrid siano scesi in piazza in 400 mila, a Barcellona in più di 200 mila, mentre in altre grandi città come Bilbao e Siviglia i manifestanti superavano le 50 mila unità.
Una cosa è certa: in Spagna il sostegno al femminismo non è solo una questione da campagna elettorale e bisognerà tenerne conto. Pedro Sánchez, nel momento in cui andrà a formare il governo, non dovrà cedere alle pressioni di chi, come le frange più conservatrici del Psoe e del mondo economico-finanziario, spinge per un esecutivo socialista alleato con Ciudadanos, il partito di Albert Rivera che ha posizioni poco chiare sul tema dei diritti. Fare ciò significherebbe disperdere un capitale politico costruito con fatica e sudore negli ultimi anni, da parte non solo del Partito socialista ma anche delle sue elettrici.