Con il reportage sul Congo trasmesso da Propaganda live Diego Bianchi vince il Premio giornalistico internazionale Marco Luchetta. Il conduttore e autore tv racconta il lavoro di Medici senza frontiere, smontando le bugie di chi vorrebbe criminalizzare il lavoro delle Ong

Musica in controcanto, le sue classiche riprese dal basso alla Full Metal Jacket, con la camera che sbarella a bordo di taxi improvvisati e unità mobili di Medici senza frontiere (Msf), che altro non sono che moto. Per otto giorni Diego Bianchi, in arte Zoro, ha attraversato da una parte all’altra il Congo, avventurandosi fin nella foresta per seguire e documentare il lavoro dei medici e degli operatori della Ong in questo Paese africano martoriato dalla guerra civile, preda di gruppi armati e vittima del virus ebola che proprio in questi giorni è tornato a uccidere con nuove epidemie. «Otto giorni che a me sono sembrati eroici – chiosa Zoro – ma che sono niente rispetto a ciò che rischia chi lavora con le Ong ogni giorno». Mentre in Italia è sempre più aggressivo il tentativo di criminalizzare le Ong, il front man di Propaganda live ha deciso di contribuire a smontare false accuse e fake news. «Per rendersi conto di come stanno davvero le cose basta andare sul campo», racconta alla vigilia della sesta edizione del Premio giornalistico internazionale Marco Luchetta, che lo vede fra i premiati, nella sezione reportage, proprio per questo documentario trasmesso durante Propaganda Live su La7. «Salii sull’Aquarius in tempi di scarsa eco mediatica. Due anni fa sono stato due settimane davanti alla Libia con loro», ricorda. «Era il periodo in cui si discuteva il codice di condotta voluto dall’allora ministro Minniti. L’impressione che ne ebbi fu chiara sulla bontà e necessità della loro attività».

«Questa volta- prosegue Zoro – sono andato oltre, attraversando la Repubblica del Congo da una parte all’altra e la foresta, la zona più difficile del Paese dove il lavoro delle Ong è osteggiato non solo dalle condizioni di povertà generale, strutturale del territorio, ma anche dal fatto che intorno ci sono focolai di conflitti decennali alimentati da bande armate che ogni giorno mettono a rischio il lavoro di chi porta medicine e cure nei rari ospedali di quell’area. Insomma, anche lì, sono andato a vedere con i miei occhi». Mettendo in atto ciò che Zoro aveva consigliato a Marco Travaglio quando, sull’onda grillina, lancia in resta, attaccava il lavoro delle organizzazioni umanitarie dalle colonne de Il Fatto. «Quasi non mi ricordavo più di quello “scambio” di vedute con Travaglio», ironizza. Perché tanta feroce criminalizzazione di chi cura e si impegna per salvare vite umane? «Da parte dei politici ci vedo dietro la ricerca del consenso soprattutto in campagna elettorale. E in Italia siamo sempre in campagna elettorale! Il migrante non porta voti. Seppur con alcuni distinguo, gli slogan e le politiche hanno finito per assomigliarsi tutte. I 5Stelle sono stati i più efficaci in questo senso. L’espressione “taxi del mare” è un loro conio. La politica anti immigrazione è ciò che tiene uniti CinqueStelle e Lega. Tant’è che sui porti chiusi sono stati indagati Salvini, Di Maio e Toninelli. Sono pienamente corresponsabili, la loro propaganda è sempre stata piuttosto compatta. Anche sparando numeri a casaccio. E ora Salvini fa il fact checking su se stesso dicendo che i cosiddetti “irregolari” non sono più 600mila ma 90mila. Non si sa che fine abbiano fatto 510mila persone». Nonostante dicessimo ogni settimana al ministro dell’Interno che non c’era nessuna invasione di migranti in atto, riportando cifre e fatti documentati, Salvini diceva “me ne frego”. (Un lavoro ostinato e capillare quello della redazione di Left, che ci è valso anche un rap fra i “nemici di Salvini” durante Propaganda live).

«Quel che più colpisce è che nessun politico abbia mai avuto la smania di smentire tutto ciò», rilancia Zoro. «Anche la sinistra che è stata al governo ha fatto accordi con la cosiddetta guardia costiera libica, con i capi clan che stanno facendo la guerra, gli stessi che gestivano la tratta dei migranti. Tutte cose che sono state documentate. Forse anche per questo l’elettorato di sinistra non ha premiato quelle politiche. Adesso sembra che il Pd abbia cambiato un po’ opinione – dice Zoro – ma che fosse sbagliato quel tipo di approccio lo si vedeva già allora mentre accadeva». In altre parole, se il centrosinistra gioca a fare il piccolo Salvini, tira la volata all’originale? «Mi pare chiaro! E questa è anche una grande responsabilità comune». Sarebbe? «Voglio dire che spesso ce la prendiamo con la classe dirigente ma non è altro che lo specchio di chi la vota. C’è un grandissimo problema culturale. sono stati fatti dei danni enormi». Di chi sono le maggiori responsabilità? «Vogliamo farle partire dal 1994, per comodità? Oggi si continuano a fare errori. Lo diceva Gino Strada giorni fa in studio da noi: “Io sto più tranquillo in un Paese con tante scuole, asili, che in un Paese con tante armi”. Se qualcuno autorizza a farsi giustizia da sé c’è un bel problema. Il mito del giustiziere, a bene vedere, è una manifesta dichiarazione di incapacità da parte dello Stato nello svolgere il proprio ruolo per garantire la convivenza civile. Così leggo la legge sulla legittima difesa».

Di giustizieri e persone armate fino al collo è pieno il Congo raccontato nel documentario di Zoro. Una nazione dove anche i giovanissimi sanno usare le armi, perché sono nati e cresciuti in guerra. Nel documentario gli operatori di Msf spiegano al giornalista come comportarsi in caso di aggressione consigliandogli di non reagire davanti a chi è armato ed è nervoso. «Sì c’era sempre una certa ansietta…», accenna Zoro con quell’intercalare che ci è diventato familiare guardando Propaganda live. «Il meccanismo è evidente: se mi armo io, si arma anche chi mi entra in casa. Se sa che io sono armato perché la legge lo consente, viene armato, magari prima manco ci pensava. È una escalation da cui non si salva nessuno. Ovviamente quella del Congo è una situazione completamente diversa ma è rappresentativa».

Dal documentario emerge anche l’importanza fondamentale dei vaccini e in un Paese dove l’ebola ancora imperversa, pare ancora più assurdo che esistano politici negazionisti. «Là ci sono malattie ancora mortali che non sono state debellate. Sì, pensare che ci sia un posto dove ci si permette di contestare i vaccini è folle visto da là. È folle in generale ma ci se ne rende ancor più conto stando là. Mi divertiva abbastanza parlare con questi medici o volontari, abbozzando: allora i vaccini sono importanti? Loro mi guardavano con due occhi così. L’ebola non la curi con una pezza di acqua fredda in fronte».

 

L’intervista di Simona Maggiorelli a Diego Bianchi prosegue su Left in edicola dal 10 maggio 2019


SOMMARIO ACQUISTA