Fa specie che in Italia sulla stessa parola "socialista" continui a pesare una specie di "damnatio memoriae", fondata su rappresentazioni in parte anche davvero mistificanti

Mi permetto di intervenire a proposito della vignetta di Vauro uscita sull’edizione online di Left. 

La vignetta – per chi non l’avesse vista o non la ricordasse – raffigurava un nano e una ballerina piangenti, e recava questo testo: “È morto De Michelis. In lutto nani e ballerine”.

Non era, a ben vedere, una vignetta particolarmente spiritosa, ed anzi era semmai di gusto piuttosto macabro e direi anche decisamente poco elegante. Ma si sa: è satira. E la satira non deve necessariamente far sorridere, ma anche pungere, infastidire, irritare.

Nel caso specifico però, al di là del valore davvero discutibile della vignetta in sé, ciò che in essa mi ha piuttosto intristito, suscitando, più che fastidio o irritazione, soprattutto una sorta di malinconia, è il fatto di dover constatare come ancora una volta si voglia di fatto far passare un giudizio molto banalizzato sulla storia socialista degli anni Ottanta (una storia di cui indubbiamente De Michelis è stato per molti aspetti un simbolo e un protagonista). Quella infatti è una rappresentazione del tutto appiattita su stereotipi che sarebbero a mio avviso ampiamente da ripensare. Non voglio certo dire che quella storia non abbia avuto anche delle ombre, dei limiti e delle gravi degenerazioni (tra cui alcune che si sono tradotte anche in diversi reati, passati in qualche caso pure in giudicato). Ma è una storia che andrebbe comunque valutata con più obiettività, perché ha avuto anche diverse luci (e oserei dire non poche), e che non può essere certo ridotta ad un mero fatto di tangenti o, appunto, alla solita trita faccenda dei nani e delle ballerine. O meglio: che un Vauro continui a volerla vedere e disegnare in quel modo è cosa che dopo tutto non mi stupisce. Mi rattrista però che questa lettura banalizzante (e come tale anche falsata) sia pubblicata da Left, che invece mi piacerebbe considerare come una mia rivista «di riferimento» e come un laboratorio di idee meno banali. Io non penso – sia chiaro – che il Socialismo italiano degli anni Ottanta debba essere incensato in maniera acritica (come forse piacerebbe ad alcuni di quei socialisti per lo più senza patria di oggi, che, per una sorta di desiderio in parte anche comprensibile di riscatto, vorrebbero proporre una rappresentazione di quegli anni tutta in positivo). Dico però che il mero dileggio semplificatore non coglie davvero gran che, ed appare per molti versi perfino stucchevole.

Diciamo allora che mi piacerebbe che dopo tanto tempo una rivista come Left si facesse promotrice di una revisione che conducesse ad un giudizio più equilibrato e sereno su tutta la vicenda del Socialismo e dei socialisti di quegli anni (De Michelis compreso). Fa specie, infatti, che mentre in alcune grandi democrazie si riscopre il Socialismo democratico e libertario (dei Sanders, dei Corbyn, dei Sànchez…), in Italia sulla stessa parola “socialista” continui a pesare una specie di “damnatio memoriae”, fondata su rappresentazioni in parte anche davvero mistificanti, quando non prettamente macchiettistiche. Una riflessione più seria (capace di soppesare meglio i pro e i contro) credo proprio che sarebbe una cosa utile: anche nella prospettiva di rimettere in piedi in questo Paese una Sinistra degna di questo nome. 

Docente di storia medievale all’Università del Salento, Francesco Somaini è presidente del Circolo Carlo Rosselli  di Milano