Scusate se non parlo di politica, delle elezioni appena trascorse su cui potete leggere commentatori molto più degni di me, scusate se piuttosto mi rimane sul gozzo questa vicenda dei lavoratori della Mercatone Uno, che sono un numero impressionante, mille e ottocento, considerato per tre nell'ipotesi di famiglia, seimila persone che vivono queste elezioni europee con la sensazione di sconfitta che hanno provato trovando chiuso l'abituale ingresso di lavoro, scoprendolo da Facebook. Scusate anche se mi permetto di dire che il caso vale anche per altre migliaia di persone che vengono licenziate senza remore con un sms, con un fax, con una mail stringata che dice che è finita come se il lavoro non fosse più il perno su cui costruirsi una vita, sperare in una famiglia, programmare un futuro ma semplicemente un orpello che ti viene regalato a tempo determinatissimo in un mondo che ha appreso la velocità anche nei rapporti umani, a dispetto del rispetto che si dovrebbe usare e che invece rimane nascosto tra le pieghe di un'imprenditoria indegna, inumana, fallace nei conti quanto nel rispetto dei lavoratori, che sfrutta questo tempo per strizzare i propri dipendenti finché non ne esce più nemmeno una goccia e poi li getta via come percolato di un'accelerazione del lavoro che ha qualcosa di ipercapitalistico e allo stesso modo è disumana nei suoi rapporti. Mi verrebbe da chiedere, scusatemi ancora, che dicono i nostri politici su una vicenda come questa, un disastro occupazionale che è solo l'ultimo di una lunga serie in un Paese che si ostina a parlare di profughi e di Rom mentre lascia indietro tutti: gente che fino a un minuto prima almeno galleggiava, seppur a fatica, in una quotidianità sopportabile e che invece si ritrova ai margini, nel bordo che teniamo per i disperati, i diseredati, gli sfortunati, i troppo fragili per stare al passo con i tempi e i disoccupati dell'ultima ora che non hanno nemmeno sentore delle politiche industriali dell'azienda in cui lavorano. Arriverà un giorno, quando la smetteremo di inseguire la propaganda, in cui finalmente affronteremo il tema dell'etica nell'imprenditoria, quella cosa che distingue un Paese civile da un Paese sfruttatore e allora ci accorgeremo che mentre ci occupavamo di altro questi hanno costruito un mondo in cui le relazioni sono unidirezionali, e anche la fatica e il sudore arrivano da una parte sola. E non vengono pagate il giusto. E non durano nemmeno il tempo di costruire un po' di speranza. Buon lunedì.

Scusate se non parlo di politica, delle elezioni appena trascorse su cui potete leggere commentatori molto più degni di me, scusate se piuttosto mi rimane sul gozzo questa vicenda dei lavoratori della Mercatone Uno, che sono un numero impressionante, mille e ottocento, considerato per tre nell’ipotesi di famiglia, seimila persone che vivono queste elezioni europee con la sensazione di sconfitta che hanno provato trovando chiuso l’abituale ingresso di lavoro, scoprendolo da Facebook.

Scusate anche se mi permetto di dire che il caso vale anche per altre migliaia di persone che vengono licenziate senza remore con un sms, con un fax, con una mail stringata che dice che è finita come se il lavoro non fosse più il perno su cui costruirsi una vita, sperare in una famiglia, programmare un futuro ma semplicemente un orpello che ti viene regalato a tempo determinatissimo in un mondo che ha appreso la velocità anche nei rapporti umani, a dispetto del rispetto che si dovrebbe usare e che invece rimane nascosto tra le pieghe di un’imprenditoria indegna, inumana, fallace nei conti quanto nel rispetto dei lavoratori, che sfrutta questo tempo per strizzare i propri dipendenti finché non ne esce più nemmeno una goccia e poi li getta via come percolato di un’accelerazione del lavoro che ha qualcosa di ipercapitalistico e allo stesso modo è disumana nei suoi rapporti.

Mi verrebbe da chiedere, scusatemi ancora, che dicono i nostri politici su una vicenda come questa, un disastro occupazionale che è solo l’ultimo di una lunga serie in un Paese che si ostina a parlare di profughi e di Rom mentre lascia indietro tutti: gente che fino a un minuto prima almeno galleggiava, seppur a fatica, in una quotidianità sopportabile e che invece si ritrova ai margini, nel bordo che teniamo per i disperati, i diseredati, gli sfortunati, i troppo fragili per stare al passo con i tempi e i disoccupati dell’ultima ora che non hanno nemmeno sentore delle politiche industriali dell’azienda in cui lavorano.

Arriverà un giorno, quando la smetteremo di inseguire la propaganda, in cui finalmente affronteremo il tema dell’etica nell’imprenditoria, quella cosa che distingue un Paese civile da un Paese sfruttatore e allora ci accorgeremo che mentre ci occupavamo di altro questi hanno costruito un mondo in cui le relazioni sono unidirezionali, e anche la fatica e il sudore arrivano da una parte sola. E non vengono pagate il giusto. E non durano nemmeno il tempo di costruire un po’ di speranza.

Buon lunedì.