All’urlo di Si el Papa fuese mujer el aborto ya sería ley (se il Papa fosse stato una donna l’aborto già sarebbe legge) e di Las ricas abortan las pobres mueren (le ricche abortiscono e le povere muoiono) ieri migliaia di persone sono scese nelle strade di Buenos Aires per accompagnare la presentazione al Congreso del disegno di legge per la legalizzazione dell’aborto, che per ora è concesso solo in caso di stupro o se la salute della donna è in pericolo. Il progetto, che prevede che l’aborto sia praticabile fino alle 14esima settimana e che sia finalmente legale, gratuito e ospedalizzato, il 14 giugno 2018 era stato approvato alla Camera dei Deputati con 129 voti a favore e 125 contrari, ma era stato poi rigettato in Senato l’8 agosto scorso, con 38 voti contrari e 31 a favore. Il 28 maggio, 70 deputate e deputati di diverse fazioni politiche hanno firmato il nuovo progetto, anche se difficilmente questo porterà alla discussione o all’approvazione del disegno. Si tratta dell'ottava proposta di legge avanzata su questo tema. L’obiettivo dei movimenti femministi è quello di non far calare l’attenzione rispetto al tema e far sì che la legalizzazione dell’aborto diventi oggetto di dibattito durante la campagna elettorale presidenziale, in vista delle elezioni che si terranno il prossimo 27 ottobre. A simboleggiare quanto importante sia questa battaglia, una marea verde ha invaso Plaza del Congreso e le strade vicine. A fronte delle migliaia di manifestanti si è schierata una barricata della polizia, a protezione di una decina di contestatori pro-life che esibivano modelli in plastica di feti di diversi mesi e cartelloni con scritto «Con aborto no te voto». Migliaia di persone hanno sventolato i panuelos, fazzoletti verdi simbolo della lotta per l’aborto, urlando canti di lotta femminista. Le donne erano a centinaia, di diverse età ed etnie: la lotta per il diritto all’aborto non conosce età e Paese. Le performance artistiche a sostegno della causa sono state svariate; a svettare, decine e decine di cartelloni, in una piazza invasa da bancarelle con libri di autrici femministe e artigianato a tema. Sono state persino improvvisate partite di calcio, mentre a capeggiare sulle barricate davanti al palazzo del Congreso erano appesi rametti di prezzemolo e grucce in fil di ferro. Sopra i quali si poteva leggere «Ogni donna morta per aborto è un femminicidio»: il prezzemolo e le grucce sono due metodi a cui ancora oggi molte donne, soprattutto le meno abbienti, ricorrono per autoindurre l’aborto. Ovviamente con gravissime conseguenze. Attualmente la legge consente alle donne argentine di poter abortire in caso di stupro o se la propria salute è messa in pericolo. Ma questa norma non viene fatta rispettare in molte regioni del Paese, specialmente in quelle più conservatrici o fortemente religiose. Un caso emblematico del mancato rispetto della norma vigente è quello di una bambina di 11 anni che lo scorso marzo è stata costretta a partorire dopo essere stata stuprata dal compagno della nonna. Alla bambina, che aveva il diritto ad abortire, sono stati iniettati farmaci per velocizzare la crescita del feto e la sua richiesta di aborto è stata intenzionalmente ritardata fino a quando non c’è stata altra scelta che sottoporla a un cesareo d’urgenza.  

All’urlo di Si el Papa fuese mujer el aborto ya sería ley (se il Papa fosse stato una donna l’aborto già sarebbe legge) e di Las ricas abortan las pobres mueren (le ricche abortiscono e le povere muoiono) ieri migliaia di persone sono scese nelle strade di Buenos Aires per accompagnare la presentazione al Congreso del disegno di legge per la legalizzazione dell’aborto, che per ora è concesso solo in caso di stupro o se la salute della donna è in pericolo.

Il progetto, che prevede che l’aborto sia praticabile fino alle 14esima settimana e che sia finalmente legale, gratuito e ospedalizzato, il 14 giugno 2018 era stato approvato alla Camera dei Deputati con 129 voti a favore e 125 contrari, ma era stato poi rigettato in Senato l’8 agosto scorso, con 38 voti contrari e 31 a favore.

Il 28 maggio, 70 deputate e deputati di diverse fazioni politiche hanno firmato il nuovo progetto, anche se difficilmente questo porterà alla discussione o all’approvazione del disegno. Si tratta dell’ottava proposta di legge avanzata su questo tema. L’obiettivo dei movimenti femministi è quello di non far calare l’attenzione rispetto al tema e far sì che la legalizzazione dell’aborto diventi oggetto di dibattito durante la campagna elettorale presidenziale, in vista delle elezioni che si terranno il prossimo 27 ottobre.

A simboleggiare quanto importante sia questa battaglia, una marea verde ha invaso Plaza del Congreso e le strade vicine. A fronte delle migliaia di manifestanti si è schierata una barricata della polizia, a protezione di una decina di contestatori pro-life che esibivano modelli in plastica di feti di diversi mesi e cartelloni con scritto «Con aborto no te voto».

Migliaia di persone hanno sventolato i panuelos, fazzoletti verdi simbolo della lotta per l’aborto, urlando canti di lotta femminista. Le donne erano a centinaia, di diverse età ed etnie: la lotta per il diritto all’aborto non conosce età e Paese. Le performance artistiche a sostegno della causa sono state svariate; a svettare, decine e decine di cartelloni, in una piazza invasa da bancarelle con libri di autrici femministe e artigianato a tema.

Sono state persino improvvisate partite di calcio, mentre a capeggiare sulle barricate davanti al palazzo del Congreso erano appesi rametti di prezzemolo e grucce in fil di ferro. Sopra i quali si poteva leggere «Ogni donna morta per aborto è un femminicidio»: il prezzemolo e le grucce sono due metodi a cui ancora oggi molte donne, soprattutto le meno abbienti, ricorrono per autoindurre l’aborto. Ovviamente con gravissime conseguenze.

Attualmente la legge consente alle donne argentine di poter abortire in caso di stupro o se la propria salute è messa in pericolo. Ma questa norma non viene fatta rispettare in molte regioni del Paese, specialmente in quelle più conservatrici o fortemente religiose. Un caso emblematico del mancato rispetto della norma vigente è quello di una bambina di 11 anni che lo scorso marzo è stata costretta a partorire dopo essere stata stuprata dal compagno della nonna. Alla bambina, che aveva il diritto ad abortire, sono stati iniettati farmaci per velocizzare la crescita del feto e la sua richiesta di aborto è stata intenzionalmente ritardata fino a quando non c’è stata altra scelta che sottoporla a un cesareo d’urgenza.