Il 4 giugno 1989, da quella piazza, gli studenti volevano aprire una porta sul mondo. Dopo i fatti tragici, a partire dal 1990, il Paese del dragone ha avuto uno sviluppo economico senza precedenti. Ora, nel confronto con gli Usa, il timore è che prevalga di nuovo la chiusura

Il 4 giugno ricorrono trent’anni dai fatti di Tian’anmen, un evento tragico in cui un Paese sovrano ha fatto uso della forza sul proprio territorio, per salvaguardare la stabilità di un governo. Chi ha assistito a quegli eventi da vicino, come osservatore straniero, era convinto che la Cina dopo quei tragici fatti non avrebbe potuto più essere come prima.

Era appunto il 1989, in primavera per la prima volta un Presidente dell’Urss compiva una visita di stato in Cina; la guerra fredda fra Russia e Usa sembrava terminata; Russia e Cina si erano rappacificate e questa era avviata da dieci anni sulla strada delle riforme: si pensava davvero che il mondo stesse entrando in un’epoca di pace e prosperità.

In effetti quei fatti – per quanto tragici – hanno segnato, nella storia moderna della Cina, l’inizio del più duraturo periodo di sviluppo economico e quindi sociale di questo immenso Paese, grande quasi quanto tutta l’Europa e con una popolazione di oltre un miliardo e duecento milioni di persone. Dal 1990 ad oggi, la Cina ha assistito ad uno sviluppo economico che non ha precedenti nella storia umana. Il mondo intellettuale cinese, in grande fermento dal 1978 al 1989, ma ancora collocato ai margini di quello sviluppo, a partire degli anni 90 è stato coinvolto appieno in questa nuova lunga marcia per il progresso scientifico, tecnologico e produttivo. Le università cinesi sono diventate negli…

Il racconto di Federico Masini prosegue su Left in edicola fino al 6 giugno 2019


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