Una storia piccola, di cui si è parlato poco ma che dice molto come tutte le storie minime che sono buone per essere paradigma contro i pregiudizi facili. A Ballarò, quartiere palermitano, la più importante azione antimafia l’hanno fatta negli ultimi mesi gli immigrati.
Partiamo dall’inizio. Nel 2016 un gambiano poco più che ventenne, Yusupha Susso, decide di rispondere alle offese razziste, non ce la fa più e reagisce. Solo che se la prende mica con uno qualunque, ma con un mafioso e figurati se la mafia di Ballarò si fa mettere i piedi in testa, perdipiù da un nero. Così Emanuele Rubino decide di vendicarsi e per dimostrare tutta la sua indecente potenza al quartiere spara alla testa a Yusupha. Il ragazzo va in coma. Rubino viene arrestato.
La comunità straniera decide che è ora di reagire. Vengono da Tunisia, Gambia, Bangladesh e da anni pagano il pizzo, chinando la testa. Decidono che è ora di rialzarsi e denunciano i loro estorsori. Ne nasce una delle più importanti indagini degli ultimi anni nel quartiere di Ballarò dove la cosca locale viene smembrata da arresti e condanne. Una di loro, Sumi Aktar, diventa la prima politica bangladese eletta in Sicilia (alla Consulta delle culture), e dice: “Da stranieri abbiamo già dimostrato il nostro coraggio denunciando la mafia e il pizzo. I commercianti bangladesi hanno contribuito alla crescita di Palermo. Da stranieri ci sentiamo parte di questa città. Per noi Palermo non è una tappa transitoria. E’ casa nostra”.
Ed è una storia bellissima perché non divide le persone in base ai colori o alla provenienza ma dimostra che esistano dappertutto buoni e cattivi. E anche buoni che hanno più coraggio degli storici residenti. E poi è una storia bellissima perché se la raccontate a Salvini implode e diventa polvere di stelle.
E sanno tutte di buono le storie che mischiano persone, coraggio e dove vincono quelli giusti. Perché questi sono fatti, mica pregiudizi.
Buon lunedì.