L’arresto di Arata e una lunga serie di altri casi portano alla luce rapporti quanto meno discutibili e poco trasparenti fra esponenti della Lega e criminalità organizzata. Mentre il ministro dell’Interno combatte la mafia solo a parole, i soci di governo grillini tacciono

Si sciacqui la bocca chi accosta la Lega alla mafia» dice Matteo Salvini in quasi tutte le conferenze stampa degli ultimi giorni. E una schiera di cronisti proni pronta a ritrasmettere a tutto volume queste parole del ministro dell’Interno, come se bastasse la sua autoassoluzione per nascondere il marcio che continua ad uscire da un partito che è riuscito nella miracolosa impresa di rivendersi nuovo nonostante decenni di berlusconismo e un presente che fa accapponare la pelle.

L’arresto di Paolo Arata, ad esempio, ha che fare con la mafia fin dall’accusa. Si rimane garantisti, certo, e l’arresto non equivale a una condanna ma l’accusa di intestazione fittizia, con l’aggravante di mafia, corruzione e autoriciclaggio è bell’e scritta, e il fatto che secondo i magistrati lo stesso Arata sia socio occulto del re dell’eolico Vito Nicastri fa pensare inevitabilmente alla criminalità organizzata.

Sono anni che Vito Nicastri viene considerato la testa di legno del boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro e sono anni che i giudici di Palermo lo ritengono uno dei finanziatori della sua latitanza oltre che essere il suo prestanome. Non so come il ministro Salvini chiamerebbe un’indagine del genere m…

L’articolo di Giulio Cavalli prosegue su Left in edicola dal 21 giugno 2019


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