Carlo Flamigni e Piergiorgio Odifreddi ci parlano di Margherita Hack. L’astrofisica e politica toscana nacque a Firenze il 12 giugno 1922 ed è morta a Trieste il 29 giugno 2013

Non osiamo pensare cosa sarebbe potuto succedere a Margherita Hack se fosse nata ai tempi della sua collega scienziata Ipazia di Alessandria. Come è noto, Ipazia nel 415 morì dopo esser stata rapita, seviziata, lapidata e smembrata in una chiesa dai parabolani, una sorta di guardia scelta del vescovo cattolico Cirillo (al quale il concilio di Costantinopoli del 553 riconobbe la santità per aver «predicato la retta fede dei cristiani»). Astrofisica, libera pensatrice e atea la nostra Margherita, astronoma, filosofa e pagana la sfortunata ricercatrice alessandrina. Ambedue donne, scienziate e non cristiane. Quindi streghe. Identità inaccettabili per una fede religiosa che, in quanto tale, si fonda sulla “impossibilità” della conoscenza (perché la risposta a qualsiasi domanda è sempre dio) e sulla negazione della realtà umana in generale, e più in particolare dell’identità di donna. Va detto che oggi, soprattutto in Italia, il pensiero dei gerarchi vaticani e dei loro sodali seduti in Parlamento non si discosta poi molto da quello fondamentalista che nel V secolo armò la mano degli assassini di Ipazia. Si pensi a uno qualsiasi tra gli ultimi papi o ai partecipanti al recente congresso di Verona sulla famiglia, i quali, convinti come sono che la vita umana inizi con la fecondazione e che l’embrione sia persona, non si peritano di definire assassini quei medici che permettono a una donna di abortire e costei la mandante del presunto omicidio di un’entità biologica. La Hack era ben consapevole dei “rischi” che correva esponendo senza riverenze il suo pensiero e come era nella sua indole ci scherzava su. «Il bosone di Higgs? Io lo chiamo addirittura dio» ci disse, ridendo, nel commentare la grande scoperta avvenuta al Cern di Ginevra nel 2012.

Mentre, più seriamente, sul testamento biologico bloccato in Senato nel 2011 da chi dette dell’assassino a Beppino Englaro per la sua battaglia affinché fosse riconosciuto a sua figlia Eluana il diritto di non essere sottoposta ad accanimento terapeutico e lasciata andare: «È una barbarie – ci disse la Hack – che lo Stato imponga a una persona di restare in stato vegetativo e di essere “alimentata” forzatamente. Si deve essere liberi di scegliere se rifiutare una vita che non è più umanamente tale. La libertà dell’individuo va rispettata». E a chi come noi, le chiedeva se non avesse timore di affermare pubblicamente certe cose, rispondeva: «Io sono atea, non penso ci voglia un gran coraggio…ai tempi di Galileo forse ci voleva il coraggio… oggi nessuno mi manderà al rogo». Questa era Margherita Hack quando non si trovava a rimirar le stelle dal “suo” Osservatorio di Trieste (che ha diretto per 23 anni fino al 1987) o ad insegnare astronomia a dei fortunatissimi studenti universitari. Ma ovviamente non solo questa era la splendida scienziata nata a Firenze il 12 giugno 1922 e morta a Trieste il 29 giugno di sei anni fa a 91 anni, che in queste pagine vogliamo ricordare con Carlo Flamigni, Piergiorgio Odifreddi e Carla Corsetti. Perché Margherita era anche fieramente antifascista dopo esser stata balilla come tanti suoi coetanei: «Si era tutti nazionalisti, si andava alle adunate, si faceva sport, ci si divertiva un mondo. Sono stata fascista fino al ’38, fino al giorno in cui entrarono in vigore le leggi razziali «raccontò nel 2006 a Laura Terenzi che la intervistava per Repubblica. «Avevo una professoressa di scienze bravissima, si chiamava Enrica Calabresi, con un centinaio di pubblicazioni al suo attivo, che era ebrea e da un giorno all’altro non venne più a scuola. Cercammo di informarci, di sapere che cosa le era capitato e solo dopo la guerra venimmo a sapere che era stata rinchiusa a Santa Verdiana, il carcere femminile di Firenze, e venti giorni dopo morì suicida: si avvelenò».

Chissà cosa direbbe oggi Margherita Hack della guerra dichiarata dagli ultimi due governi alle Ong che salvano i migranti nel Mediterraneo e dei decreti sicurezza voluti da Salvini… «Margherita fu balilla come me, in un certo senso abbiamo avuto tante cose in comune e fatto una vita in parallelo ad iniziare dai successi nello sport al liceo. Lei fu addirittura una campionessa di salto in lungo e salto in alto, lo sapete no?» racconta il ginecologo e “padre” scientifico della fecondazione assistita, Carlo Flamigni. A quei tempi per i bambini non c’era scelta ma già in età adolescenziale entrambi seppero con chiarezza da che parte stare: antifascisti e atei (nonché in epoca più recente entrambi presidenti onorari della Uaar-Unione degli atei e agnostici razionalisti, insieme a Piergiorgio Odifreddi che sentiremo più avanti). «È sempre stata una donna abituata ad essere molto indipendente, sin da ragazza – prosegue Flamigni che in questi giorni ha pubblicato un nuovo libro, un romanzo storico per Ponte vecchio dal titolo Orgoglio e povertà. Ovvero: la politica sognata dai poveri -. «Sono donne come Margherita Hack che hanno messo in moto il meccanismo che oggi ha reso un gran numero di donne indipendenti, piene di dignità, consapevoli del loro ruolo». E lo ha fatto da atea. «Lei era una che rispettava la religione altrui, ma esigeva di poter essere atea senza che nessuno la guardasse come se fosse un mostro e cercasse di convertirla. Fare proseliti è una mancanza di rispetto per le persone che non ha eguali. Anche questa certezza ci rendeva simili. Ma non siamo soli. Guardando all’Italia di oggi, io dico che possono fare tutti i tentativi che vogliono con i Fertility day o i congressi di Verona, tuttavia è innegabile che un gran numero di ragazze vuol essere prima una donna e poi, semmai, una madre». Il congresso veronese del marzo scorso di cui tanto abbiamo parlato su Left – frequentato da diversi ministri, sottosegretari e parlamentari e cassa di risonanza di un’idea di società e soprattutto di donna sovrapponibile a quella propagata durante il Ventennio – riconduce immediatamente il discorso e la memoria all’impegno politico dell’astronoma toscana. «Negli ultimi decenni – racconta Flamigni – avevamo in comune l’insoddisfazione profonda per la s…

L’articolo di Federico Tulli prosegue su Left in edicola dal 21 giugno 2019


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Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).