«Basta, entriamo. Non per provocazione, per necessità, per responsabilità». Così, dal profilo Twitter della ong Sea Watch, Carola Rackete, capitana della la nave con a bordo 42 migranti, bloccata ormai da 14 giorni a 16 miglia da Lampedusa, ha annunciato che sarebbe entrata nelle acque territoriali italiane. «Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo», continua la capitana nel post. Poi il blocco è stato forzato e la nave si è avvicinata a Lampedusa.
La notizia è stata diffusa poco dopo le 14 dalla stessa Ong tedesca. «La situazione a bordo era disperata, siamo in stato di necessità, sappiamo cosa rischiamo». Ora, infatti, l’organizzazione rischia il sequestro della nave e una forte multa (fino a 50mila euro) in base al decreto sicurezza bis, entrato in vigore solo lo scorso 15 giugno e voluto fortemente dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. «Nessuna istituzione europea – ha aggiunto Johannes Bayer, presidente di Sea Watch – vuole prendersi la responsabilità e sostenere la dignità al confine dell’Europa nel Mediterraneo. Questo è il motivo per il quale ci siamo assunti la responsabilità per conto nostro. Entriamo nelle acque italiane dato che non è rimasta più nessuna altra opzione per assicurare la sicurezza dei nostri ospiti, i cui diritti fondamentali sono stati violati per un tempo sufficientemente lungo. Le garanzie dei diritti umani non devono essere condizionate ad un passaporto o ad alcuna negoziazione Ue: devono essere indivisibili».
Il 24 giugno, la Sea Watch aveva presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), dopo 12 giorni di blocco navale: i passeggeri e l’equipaggio richiedevano “misure provvisorie” per consentire lo sbarco dei migranti in Italia, con un provvedimento d’urgenza che permettesse di superare momentaneamente il decreto bis, al fine di poter presentare una richiesta di protezione internazionale. La Commissione europea era intervenuta chiedendo agli Stati di “trovare una soluzione”, ma Salvini aveva negato lo sbarco, intimando a Germania e Olanda di prendersi a carico i profughi. Per il ricorso, l’ong si era appellata agli articoli 2 e 3 della Convenzione europea dei diritti umani: il diritto alla vita e il divieto a essere sottoposti a tortura o a trattamenti inumani e degradanti. Ma, il giorno successivo la Cedu lo ha respinto, indicando, comunque, «al governo italiano che conta sulle autorità del Paese affinché continuino a fornire tutta l’assistenza necessaria alle persone in situazione di vulnerabilità a causa dell’età o dello stato di salute che si trovano a bordo della nave».
Mentre Salvini esultava, gongolando del “sostegno” europeo, i 42 migranti a bordo della nave vivevano ore di profonda disperazione. Perfino i legali della ong tedesca, nella serata di ieri, hanno espresso «profondo sconcerto» per un verdetto «contraddittorio e problematico dal punto di vista dell’effettività della tutela dei diritti fondamentali e della dignità dell’uomo». Trovano, difatti, illogico che la Corte abbia sollecitato l’Italia a fornire assistenza e cure mediche alle persone a bordo, dopo aver deciso di non concedere loro uno sbarco sicuro.
Intanto, in diretta Facebook subito dopo l’annuncio della rottura del blocco, Salvini ha dichiarato: «Useremo ogni mezzo lecito per fermare una nave fuorilegge, che mette a rischio decine di immigrati per uno schifoso giochino politico. Non darò l’autorizzazione allo sbarco a nessuno. Il comandante è avvisato: useremo ogni mezzo democraticamente concesso per bloccare questo scempio del diritto», rincarando poi la dose: «Mi sono rotto le palle di vedere l’Italia trattata come un Paese di serie B. Chi sbaglia paga. La nostra pazienza è finita. L’Olanda ne risponderà», dando alla capitana Rackete della «sbruffoncella che fa politica sulla pelle degli immigrati pagata non si sa da chi». Invero, anche ieri sera non aveva mancato di ribadire seccamente: «Per me la Sea Watch 3 può rimanere in mare fino a Natale o Capodanno, ma in Italia non arriva» e che, se la nave avesse deciso di violare il divieto di ingresso ed entrare in porto, sarebbe stata multata per 50mila euro e confiscata, nonché comandante ed equipaggio denunciati.
La Sea Watch ha lanciato una raccolta fondi rinforzata dall’hashtag #IoStoConCarola, per assicurare che la capitana abbia la tutela legale necessaria una volta fatta attraccare la nave a Lampedusa: «Se il nostro capitano Carola porta i migranti salvati dalla Sea Watch 3 in un porto sicuro, come previsto dalla legge del mare, affronta pene severe in Italia». Si è così subito messa in moto una gara di solidarietà nel Paese, per permettere alla ong di continuare ad operare e salvare vite umane. Intanto, nel corso di questi lunghissimi 14 giorni, in diverse città italiane, da nord a sud, numerosi sono stati i presidi di cittadini e attivisti per esprimere vicinanza alle 42 persone intrappolate sulla nave.