Innanzitutto un chiarimento, necessario, ai troppi che si improvvisano esperti di diritto del mare. La capitana della Sea Watch ha deciso di entrare nelle acque territoriali italiane, dopo 13 giorni passati a bollire nel brodo di un’Europa addormentata e di un Salvini che abbaia, perché la legge dice così. Lo dice il diritto del mare e le leggi internazionali che la obbligano a puntare sul porto sicuro più vicino. Non è sicura la Libia e non è sicura la Tunisia (e chi non è d’accordo se ne faccia una ragione) e il porto più vicino non è quello che appare guardando le mappe senza conoscenza di ortodromia o di correnti o di venti. Non funziona così, no.
Se Sea Watch avesse puntato su un altro porto e nel viaggio fosse successo qualcosa, un malore mortale a qualcuno dei migranti, la capitana Carola Rackete avrebbe rischiato un’incriminazione per omicidio colposo. La capitana (e chiunque mastichi di leggi e di politica) sa anche che il decreto di Salvini vale per quello che è: un decreto del potere esecutivo emesso con criterio di urgenza. I decreti possono essere impugnati. Ben venga il processo se servirà a chiarire tutto questo.
Un’altra cosa: l’opposizione in Italia l’ha fatta di più la Rackete con il suo gesto che tutta l’opposizione (che infatti ora non fa altro che rimanere in scia). Il governo intanto impazzisce. Salvini frigge. Di Maio prova a giocare di sponda come un DC 2.0 continuando a farsi fagocitare e Conte non conta più di un’ombra su un vetro. C’è anche la Meloni, che in occasioni come queste riesce a dare il peggio di se stessa dicendo senza nemmeno il coraggio di dire.
Siamo noi gli scheletri. Mica quelli che arrivano. Siamo noi, che siamo già annegati da un pezzo.
Buon giovedì.