La scrittrice Jokha al-Harthi ha vinto il prestigioso Man Booker International Prize. È la prima volta per un’opera araba. Dietro al successo del suo romanzo, che rappresenta una denuncia della società patriarcale, c’è un fermento culturale in cui le donne sono protagoniste

Il suo rientro in patria lo scorso 26 maggio non è stato di quelli normali. Appena scesa dall’aereo del volo Londra-Mascate, una folla di giornalisti e persone comuni l’ha accolta come si fa solitamente con gli sportivi di ritorno da una vittoria in una competizione internazionale. La scrittrice omanita Jokha al-Harthi sembrava quasi imbarazzata da tutto quel clamore. In fondo, avrà pensato, si tratta solo di un premio letterario vinto. Un successo personale, niente di più. Ma non è stato così: non capita in effetti tutti i giorni che il Sultanato dell’Oman, spesso ai margini della narrazione mediatica sia in campo politico che culturale, si trovi per qualche giorno al centro dell’attenzione pubblica occidentale grazie alla vittoria del prestigioso Man Booker International Prize da parte di una sua cittadina. A maggior ragione quando, nei 15 anni dall’istituzione di questo premio che omaggia la letteratura internazionale tradotta in lingua inglese, nessun romanzo arabo era ancora riuscito a conquistarlo.
Sorprendendo forse molti, al-Harthi ce l’ha fatta invece quando il suo Sayyadat al-Qamar (Celestial bodies in inglese) ha sconfitto la concorrenza dell’autrice polacca Olga Tokarczuk (vincitrice già l’anno scorso del premio con il suo Flights) e dell’autrice francese Annie Ernaux. Alla cerimonia di premiazione a Londra, la 41enne scrittrice e docente omanita, non ha nascosto la sua gioia: «Sono emozionata che una finestra si sia aperta per la ricca cultura araba. L’Oman mi ha ispirato, ma ritengo che i lettori internazionali possano far riferimento ai valori umani presenti nel testo, quali la libertà e l’amore».
«Il suo è un testo che parla a tutti – ha poi motivato Bettany Hughes, alla testa del comitato dei 5 giudici che le ha assegnato il premio – perché convince testa e cuore in egual misura e perché evoca le forze che ci limitano e quelle che ci rendono libere».
Il romanzo di al-Harthi, pubblicato in arabo nel 2010 e tradotto in inglese nel 2018, è…

L’articolo di Roberto Prinzi prosegue Left in edicola dal 28 giugno 2019


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