La legge regionale è uno strumento concreto che garantisce indipendenza economica, autonomia ed emancipazione alle donne scampate alla violenza. Previsti interventi di prevenzione anche nelle scuole

Si chiama Reddito di libertà, la misura che la Regione Sardegna ha istituito per sostenere le donne vittime di violenza domestica. Istituita per la prima volta in Italia con la legge numero 33 del 2 agosto 2018, la misura è un concreto strumento per favorire l’affrancamento totale dalla violenza attraverso «l’indipendenza economica, l’autonomia e l’emancipazione (e affinché la donna) sia posta in condizioni di accedere ai beni essenziali e di partecipare alla vita sociale». A patto che la beneficiaria si impegni a seguire un progetto personalizzato, finalizzato all’acquisizione della propria indipendenza, attraverso un piano di interventi mirati.

Per esempio, potendo usufruire di un sussidio economico, anche per favorire la mobilità geografica talvolta necessaria a far fronte al pericolo di violenza, prendendo parte a politiche attive del lavoro che prevedono, tra le altre cose, incentivi per le imprese che assumono donne scampate alla violenza, e consentendo loro di garantire la continuità scolastica di figli minori. Inoltre, la legge favorisce l’affido famigliare per le giovanissime vittime di violenza da parte del padre, riconoscendo ai nuclei affidatari un contributo economico da destinare all’ospitalità, alla cura e al mantenimento degli eventuali figli a suo carico.

«È una legge innovativa perché è uno strumento concreto che prende in considerazione la violenza economica: l’assenza di risorse materiali costringe la donna a una condizione di sudditanza cosicché l’affrancamento dai contesti violenti non può essere totale», dice a Left, la presidente del centro antiviolenza e casa rifugio Prospettiva Donna di Olbia, Patrizia Desole. Che aggiunge: «La nostra Regione ha avuto una sensibilità spiccata, precoce e lungimirante sul tema se si considera che, già nel 2007, con la legge numero 8, aveva istituito i centri antiviolenza e le case di accoglienza per le donne vittime di violenza di genere, e, ancor prima della Convenzione di Instanbul ha riconosciuto che questo tipo di violenza è un attacco all’inviolabilità della persona e alla sua libertà, appunto».

Anche se, sostiene Desole, «l’origine della violenza, fenomeno strutturale e culturale, non è un fatto privato ma sociale». Ed è per questo che la Sardegna, riconoscendone la portata collettiva, ai sensi della legge numero 33 del 2018, prevede progetti di educazione all’affettività e alla parità di genere da realizzarsi nelle scuole, servendosi della collaborazione delle associazioni del terzo settore e le case rifugio che, nell’isola, sono ubicati in cinque comuni – Cagliari, Sassari, Oristano, Nuoro e Olbia – a ciascuno dei quali la legge regionale ha erogato sessantamila euro da destinare alle sopravvissute alla violenza maschilista, previa apposita graduatoria che tiene conto di specifici requisiti. Olbia, insieme a Nuoro, è fra le istituzioni più virtuose, avendo recepito, pochi giorni fa, la legge, approvato il RdL, che verrà corrisposto per un periodo che va dai dodici ai trentasei mesi, ed essendosi già attivata per attuare pienamente la misura.