Alle richieste di Unidas Podemos di fare un accordo programmatico chiaro, da realizzare con un governo di coalizione, finora si è risposto smorzando i toni, con l'ipotesi di un governo di cooperazione, naturalmente senza nomine per Podemos nel futuro consiglio dei ministri.

Oltre due mesi dalle politiche spagnole e Pedro Sánchez, designato dal re, ha finalmente scelto la data per presentare al voto del nuovo Parlamento la sua candidatura a capo del governo: sarà il prossimo 23 luglio. Fissare una data per l’investitura è un passaggio decisivo: dovrebbe obbligare i partiti a prendere una posizione per sbloccare un Parlamento paralizzato che, ad oggi, non ha ancora definito le commissioni di lavoro. In questo contesto, sebbene ci siano state riunioni dei socialisti con tutte le parti, sono state le poche trattative tra Sánchez e Iglesias a definire l’investitura. Quindi si è trovato un accordo con Unidas podemos e non resta che la ratifica parlamentare per governare? No. Non è così, anzi non è scontato che l’operazione riesca. Si sapeva che non sarebbe bastato vincere con nettezza le elezioni, come i socialisti hanno fatto. Era necessario anche costruire una maggioranza, definire cioè una strategia efficace su come e con chi cercare di conquistare quei primi 176 voti sufficienti per ottenere la nomina a presidente del consiglio e varare il governo.

Di fatto i socialisti sono rimasti immobili, non ci sono stati né ulteriori incontri, né tavoli programmatici e da giorni nell’aria si manifesta l’ipotetica ripetizione delle elezioni. La legge elettorale spagnola non lascia infatti un tempo infinito al presidente incaricato. Dalla prima votazione restano a Sánchez due mesi per dare una maggioranza alla Spagna, scaduti i quali vengono convocate automaticamente nuove elezioni, che potrebbero tenersi già il prossimo 10 novembre. Fin dall’inizio i risultati elettorali suggerivano un accordo tra Sánchez ed Iglesias, partner designato dalle urne, con l’appoggio o l’astensione delle altre formazioni a facilitarne l’investitura.

Il problema è che una parte consistente del gruppo dirigente socialista non vuole né questa maggioranza, né la strada su cui vorrebbe portare la Spagna. Rifiuto totale dell’alleanza strategica con Unidas podemos e soprattutto dell’idea che essa abbia bisogno, per riuscire a governare, del sostegno dei nazionalisti baschi e quello di Erc, i repubblicani catalani, una forza dichiaratamente indipendentista. All’interesse generale del Paese per ora si è preferito privilegiare gli interessi del partito, la sua precaria unità interna, le sue vecchie baronie. Alle richieste di Unidas podemos di fare un accordo programmatico chiaro, da realizzare con un governo di coalizione, finora si è risposto smorzando i toni, con l’ipotesi di un governo di cooperazione, naturalmente senza nomine per Unidas podemos nel futuro consiglio dei ministri.

Pablo Iglesias, con una lettera aperta indirizzata a Sánchez, pubblicata sul giornale catalano La Vanguardia,
riconferma le priorità programmatiche su cui Unidas podemos vuole stringere un accordo di legislatura. «La Spagna ha bisogno di un governo che garantisca un impiego stabile con diritti, che limiti la precarietà e protegga la sufficienza e la rivalutazione delle pensioni. In secondo luogo, è necessario garantire la transizione energetica di fronte ai cambiamenti climatici e attuare una nuova politica industriale. In terzo luogo, sono necessari affitti accessibili, un reddito sufficiente per i cittadini in situazioni di rischio sociale e qualità dei servizi pubblici. In quarto luogo, è imprescindibile garantire l’economia dell’assistenza e dell’uguaglianza di genere, tutelare le famiglie e garantire una parità retributiva. E in quinto luogo, la Spagna ha bisogno di un governo che garantisca la giustizia fiscale essenziale affinché lo Stato abbia strumenti comparabili a quelli di altri partner dell’Unione, per soddisfare i diritti sociali sanciti dalla Costituzione».

Contemporaneamente Iglesias avanza la proposta di ritirare la richiesta di far parte del governo, se questo si dimostrasse un impedimento per ottenere i voti mancanti per eleggere Sánchez. Una proposta sensata che mette anche fine alla campagna scatenata dai media che ravvisa proprio nell’ansia di potere di Iglesias il blocco alla nascita del governo.

Il Psoe per ora rimane ancorato alla strategia intrapresa dopo il primo giro di consultazioni e, sebbene lo neghi in pubblico, si sente rafforzato dall’ultimo sondaggio pubblicato che dà ai socialisti quasi il 40% dei voti, qualora si dovessero ripetere le elezioni politiche. Sánchez ribadisce che Partito popolare e Ciudadanos «devono assumersi le proprie responsabilità con gli spagnoli e facilitare la stabilità» e ci tiene ad affermare che non è previsto alcun accordo con questi partiti, soluzione su cui tutti i poteri forti, spagnoli ed europei, continuano a lavorare per scongiurare l’unità fra le due sinistre. Certo le posizioni tra Sánchez e Iglesias sembrano ancora lontane, ma gli incontri delle prossime settimane potrebbero essere decisivi per la legislatura. A rischiare è soprattutto Sánchez che deve scrivere un nuovo capitolo del suo manuale di resistenza, per non vedere rimessa in discussione la sua leadership e il suo progetto di tenere il Psoe a sinistra.