La testimonianza di Paola La Rosa è una delle volontarie al porto davanti alla piccola imbarcazione. «Non ci muoveremo da qui fino a quando i ragazzi non saranno scesi. Loro e noi siamo la stessa cosa, non siamo disposti ad accettare che si consumi l'ennesimo crimine. Non ci volteremo dall'altra parte".

La Alex di Mediterranea è arrivata a Lampedusa poco dopo le 17. «L’equipaggio del veliero, i volontari di Mediterranea, li hanno fatti scendere. I bianchi sì, i neri sono rimasti a bordo. Mi sembra di ritrovarmi davanti al film Radici, sono arrabbiata, non riesco a dire altro». Paola La Rosa è una delle volontarie che si è piazzata al porto davanti alla piccola imbarcazione. È indignata, dice di non avere parole ma avrebbe tanto da dire.

«Non ci muoveremo da qui fino a quando i ragazzi non saranno scesi – prosegue La Rosa -. Loro e noi siamo la stessa cosa, non siamo disposti ad accettare che si consumi l’ennesimo crimine. Non ci volteremo dall’altra parte. Solo poche decine di centimetri separano l’imbarcazione dalla terra ferma. Poche decine che valgono il pugno duro di un ministro che non ha altra maniera per conquistare consenso. Coloro che fino a ieri attaccavano Carola Rackete oggi se la prendono con i giovani di Mediterranea che neanche possono essere accusati di non essere italiani. Lo sono tutti, uomini e donne che sono andati a rischiare la vita per una ragione che al Viminale non ha mai trovato motivo di essere ascoltata. Non sono eroi, sono semplicemente quello che ognuna e ognuno di noi dovrebbe fare per non sentirsi domani dalla parte di quelli che si sono girati dall’altra parte»

«Ti rendi conto? I ragazzi hanno ancora addosso i vestiti con i numeri con cui venivano identificati in Libia, nel centro di detenzione – dice Alessandra Sciurba, portavoce di Mediterranea – non solo stanno male, ma si portano addosso le tracce del gasolio rimaste sulla pelle durante il viaggio, la salsedine che ti distrugge la pelle, i segni di quanto subito non solo in Libia ma anche durante il viaggio. Veniteci a vedere a Lampedusa chi sono questi ragazzi? Venite a vedere quanta sofferenza portano con se. Provate poi voi a dire che non debbono sbarcare».

Paola, Alessandra, le altre e gli altri che resistono, chiedono di non essere lasciati da soli. Chiedono che non cada su di loro l’indifferenza o l’oblio. Hanno scelto di disobbedire alla legge del più forte, quella che tanto piace in un Paese incattivito composto da uomini e donne soli che non hanno altro modo per sfogare la propria infelicità che quello di prendersela con pericoli immaginari, con facce scure che si guardano intorno spaurite aspettando che lo strazio abbia fine.

Ogni minuto in più trascorso a bordo, ogni attimo strappato alle cure necessarie, al conforto, alla sicurezza che offre solo la terra ferma è un crimine la cui responsabilità non ricade solo sul ministro della paura e sui suoi proni alleati. Ricade su ognuna e ognuno di noi che non sia capace di avvertire il profondo senso di ingiustizia. Una barca ferma a 50 centimetri dalla salvezza, separata da un muro fatto di interpretazioni vigliacche di leggi altrettanto cattive ed errate, è la metafora dell’uccisione di un continente, di secoli in cui un pianeta intero ha sperato di poter cambiare, è il fallimento non solo di parole come “umanità” ma di quei principi di eguaglianza, fratellanza, libertà che sembrano ormai divenuti privilegi riservati.

Ma pensate cosa sarebbe accaduto se su quella barca fossero stati raccolti 46 ricchi imprenditori occidentali? Ci sarebbe stato il tappeto rosso ad accoglierli, avrebbero immediatamente potuto anche acquistare l’intera isola. Il ministro della paura si sarebbe precipitato ad accoglierli per i selfie di rito. No, sono solo poveri e neri, quindi nessuna pietà. Ma chi oggi difende queste scelte se lo metta bene in testa. Domani le stesse leggi, gli stessi divieti, la stessa esclusione verrà messa in atto verso chi dissente, verso chi chiede cose impossibili come casa, lavoro, reddito.

Grazie Paola, grazie Alessandra, grazie alle tante e ai tanti come loro che lasciano accesa la speranza di un Paese diverso.

 

+++ AGGIORNAMENTO del 7 luglio, ore 00.10 +++

È quasi mezzanotte quando finalmente anche i ragazzi rimasti a bordo vengono fatti scendere a terra. Dopo sette ore di inutile, misera, vigliacca crudeltà verso persone che già avevano vissuto l’indicibile. Non c’è ragione alcuna per giustificare questo ennesimo atto di sopruso e poco varrà l’assoluzione politica garantita dai protettori di un governo in cui si determinano comportamenti criminali.

In un Paese sano un ministro non avrebbe l’ardire di comportarsi così restando impunito, non troverebbe consenso e osanna, non lascerebbe indifferenti tanti autorevoli rappresentanti delle istituzioni. Cosa deve fare di più per poter finire come imputato davanti ad un tribunale? Quali margini ha ancora questo Paese per potersi definire ancora democratico? A breve arriverà a Lampedusa anche la nave Alan Kurdi, con 65 profughi. Un’altra Ong da additare come il nemico?

Nel frattempo al largo delle coste tunisine si ripescano i cadaveri dell’ultimo naufragio, 80 morti perché i porti devono restare chiusi. Benvenuti ai ragazzi che sono sbarcati. Faremo il possibile per dimostrare loro che questo Paese non è come lo rappresenta un ministro capace solo di riempire la comunicazione di livore e violenza. Ve lo dobbiamo, a voi, a quelli come voi che non ce l’hanno fatta e contro tutti i complici consapevoli o meno di questo sfregio.