Fontana e Zaia, in nome di Lombardia e Veneto, hanno sfogato le proprie ire contro il presidente del consiglio Giuseppe Conte colpevole, a loro dire, di non volere dare abbastanza autonomia alla Padania e quindi di non rispettare i referendum (un po’ fiacco, quello di Fontana, a dire la verità) e il volere popolare.
Autonomia, popolo, volontà popolare sono le parole che la Lega sventola da anni come eccitante dei suoi elettori insistendo a magnificare un paradiso secessionista che ovviamente non è fattibile, non è costituzionale e non troverebbe mai i numeri necessari in Parlamento. Del resto la Lega, nonostante la finzione di Salvini, ha governato parecchi anni e non ha mai mosso una foglia sul tema nonostante se ne siano scordati in molti.
Ma non è questo il punto. Quello che ci interessa è come le infattibili promesse dei leghisti in fondo siano la loro stessa gabbia: per sfamare i suoi elettori Salvini dovrebbe attuare una secessione del nord che ormai non è nemmeno nei pensieri del vicepremier eletto in Calabria e difensore della Padania. Sapendo che non ci riuscirà mai allora non gli resta che applicare un’autonomia recitata che consiste nel trovare ogni volta un nemico o un potere forte che gli impedirebbero di arrivare al risultato finale. Per questo Fontana e Zaia hanno accettato di buon grado di fare gli attori in commedia sperando di placare l’ira funesta dei loro elettori (e del resto chi fa politica con l’ira ne finisce sempre prima o poi travolto): per loro è importante che si simuli una tensione all’obiettivo, solo questo.
Del resto la voglia di autonomia che accompagna questi tempi è soprattutto il desiderio che la libertà coincida con il farsi i fatti propri, in spazi sempre più ristretti, dallo Stato alle Regioni ai Comuni fino ad arrivare all’Io, dove l’egoismo sia sdoganato per legge e reso addirittura obbligatorio per difendersi da stranieri, oziosi, terroni oppure più semplicemente gli altri.
E così è tutta una corsa ad infeltrirsi. E tutti contenti di correre. Avanti così.
Buon lunedì.