Il ’68 fu una forma di assestamento di una società che usciva, in un passaggio rapido, dalla società contadina, per entrare in una fase industriale relativamente moderna» dice il filosofo Carlo Augusto Viano.
«Gli operai che avevano accettato una forte disciplina di tipo fordista cominciarono a ribellarsi, anche contestando i propri sindacati. Mentre i giovani – dice l’autore di Laici in ginocchio (Laterza) – non accettavano più una società in cui l’essere giovani significava soprattutto prepararsi per il lavoro futuro. Volevano vivere da giovani. E questo non riguardava solo l’Italia ma investiva tutti i Paesi occidentali. Era un fatto di trasformazione sociale.
Fra i pensatori di riferimento del ’68, un ruolo centrale l’ebbe Foucault che, però, rivendicava fra i suoi maestri Heiddeger, il filosofo dell’«essere per la morte». Come lo spiega?
Accadeva perché tutta la cultura del ’68 fu una rivolta contro la scienza, identificata tout court con l’attività industriale. Si diceva “basta repressione”. Marcuse colse questo aspetto. E la scienza stessa veniva sentita come una forma di repressione. Da qui la rivolta. Da questo punto di vista il ’68 fu un movimento essenzialmente retorico. Tutto era facile, si poteva ottenere qualunque cosa. Il fatto che il pensiero scientifico mostri che i mezzi adeguati sono lontani, sono difficili, veniva avvertito con insofferenza. Per questa via antiscientifica, il riferirsi a Foucault e la riscoperta di Heiddeger.
E in questa chiave si può leggere La storia della follia e il suo assunto di fondo: la malattia mentale non esiste?
Foucault negava l’esistenza della malattia mentale, percepita come fatto di repressione sociale.
Pensatori del ’68 come Deleuze con il suo Anti-Edipo e lo stesso Foucault si riferivano a un conservatore come Freud che pretendeva di imporre un controllo razionale sull’inconscio, teorizzato come perverso. Una contraddizione in termini?
Certamente. Il ricorso a Freud rientra nel primato della letteratura sul sapere, che fu tipico del ’68. In quegli anni si usò Freud più che altro come strumento di decostruzione per smontare le cose, per trovare la macchinazione dietro quella che sembrava la realtà superficiale delle cose. Ebbero meno peso le istanze di tipo razionalistico. La ragione personale era una ragione nata dalla scarsità. Sartre lo sosteneva. Ora c’era l’abbondanza. Il ’68 era un’illusione di abbondanza.
Perché la rivolta è fallita?
Un po’ perché le rivolte estemporanee quasi sempre falliscono. E poi gli intenti del ’68 non erano del tutto chiari. Anche se alcuni suoi miti sono ancora presenti. Di fatto in Italia c’era una contraddizione abbastanza chiara: il ’68 era “per una società della liberazione”. Però, fino alla recente crisi della società industriale, ha creato una società irreggimentata. Gli studenti universitari protestavano e insieme volevano delle carriere “postali”, come si diceva allora, essere super assistiti.
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Intervista tratta dal libro edito da Left “1968, fu solo un inizio”