Dopo il ripristino di Trump delle esecuzioni capitali per i condannati dai Tribunali federali, siamo andati a vedere in quali Paesi statunitensi è ancora in vigore questa pratica disumana

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha annunciato la ripresa delle esecuzioni capitali per i criminali condannati dai Tribunali federali, ribaltando una moratoria sulla pena di morte in atto fin dall’amministrazione Obama. L’ultima di queste esecuzioni risaliva a 16 anni fa. É rarissimo che i tribunali federali comminino pene capitali, solo 62 detenuti si trovano oggi nel braccio della morte delle carceri federali, contro i 2743 detenuti negli statali.

William Barr, ministro della Giustizia, ha adottato un nuovo protocollo sulle iniezioni letali e ha programmato cinque esecuzioni da tenersi in una prigione federale dell’Indiana, tra dicembre 2019 e gennaio 2020. Barr ha anche chiarito che la pena di morte sarà nuovamente implementata per dare giustizia alle famiglie delle vittime, e che i cinque neo condannati a morte sono tutti colpevoli di omicidio, alcuni anche di tortura o stupro di minori e anziani. Tra questi, un suprematista bianco che ha ucciso una famiglia di tre persone in Arkansas, inclusa una bambina di 8 anni; un nativo americano che, in Arizona, ha accoltellato una 63enne e la nipote 16enne; un uomo che ha freddato cinque persone; uno che ha rapito, stuprato e ucciso una teenager e un padre che ha molestato sessualmente e ucciso la figlia di due anni.

Altro grande cambiamento introdotto dal protocollo, è la modifica del cocktail letale dell’iniezione. Fino ad ora si utilizzava un insieme di tre sostanze, consistente in tiopental sodico che portava all’incoscienza, bromuro di pancuronio che causava la paralisi muscolare e l’arresto respiratorio, e cloruro di potassio che causava l’arresto cardiaco. Fin dal 2010 le case farmaceutiche si sono rifiutate di fornire il tiopental sodico agli esecutori per motivi etici o semplicemente per non essere associate alla pratica, causandone una carenza su tutto il territorio nazionale. Molte esecuzioni sono state, così, ritardate per procurarsi la sostanza oltreoceano. Alcuni Stati hanno dunque scelto di passare al pentorbarbital, un farmaco utilizzato come sedativo durante gli interventi chirurgici. Il Texas lo ha utilizzato per primo nel 2012.

Il direttore esecutivo di Amnesty International Usa, Margaret Huang, ha criticato pesantemente la mossa di Trump, definendola «oltraggiosa», nonché «l’ultimo indizio del disdegno di questa amministrazione per i diritti umani».

La sentenza capitale sembra incontrare ancora l’approvazione dei cittadini in Nord America: l’ultimo sondaggio sulla questione ha evidenziato come il 56% degli statunitensi supporti la pena per gli individui colpevoli di omicidio, mentre solo il 41% sia contrario.

Ci sono ancora 29 Stati in cui la pena è legale, al contrario un numero crescente di altri – in questo momento 21 -, stanno abolendo la misura. Ma, a quanto pare, l’amministrazione Trump vuole invertire la rotta.

La pena di morte, per le esecuzioni sia a livello federale che statale, era stata dichiarata incostituzionale nel 1972, ma poi reinstaurata nel 1988 per poche tipologie di reati, quando il Congresso approvò l’Anti-drug abuse act. Il Federal death penalty act del 1994 ha portato a 60 il numero di reati per cui è prevista tale pena.

A maggio scorso, il New Hampshire è diventato il 21esimo Stato ad abolire la pena, subito dopo la California a marzo, probabilmente grazie al declino della popolarità di tale pratica tra i cittadini, ai costi molto alti e alla difficoltà di reperimento dei farmaci utilizzati nelle esecuzioni. In più, gli attivisti per i diritti umani sostengono che i provvedimenti siano applicati in modo iniquo, spesso per ragioni di razzismo o intolleranza. Nonostante ciò, ci sono ancora parecchi Stati che la applicano regolarmente, come il Texas (che ha il maggior numero di esecuzioni dal 1976, ossia 561), la Virginia (113), l’Oklahoma (112), la Florida, l’Alabama e la Georgia. Comunque, il numero annuo di sentenze capitali è diminuito dell’85% dal 1998 al 2018, passando da 295 a 43.

A livello federale, solo tre esecuzioni sono avvenute dal 1988, la più recente nel 2003, con l’uccisione di Louis Jones Jr, a seguito dello stupro e omicidio di Tracie Joy McBride, soldato dell’esercito americano, in Texas. Timothy McVeigh, responsabile per il bombardamento di Oklahoma City del 1995 era stato invece condannato a morte nel 2001. Con Obama, le esecuzioni federali si trovavano sotto una moratoria informale: nel 2014 l’allora Presidente aveva ordinato al Dipartimento di Giustizia di condurre un’approfondita ricerca sulla pratica dell’iniezione letale e delle sostanze che venivano utilizzate a tale fine. Con la moratoria sulle esecuzioni, la linea governativa assunta dagli Usa ne sosteneva di fatto l’abolizione. Per questo motivo, quello del presidente Trump è un brusco dietrofront.

La ripresa delle condanne capitali pronunciate da Tribunali federali ha scatenato le reazioni dell’opposizione, specialmente in vista delle presidenziali del 2020. Bernie Sanders, Elizabeth Warren, Kamala Harris: tutti i principali candidati esponenti del Partito democratico si sono pronunciati contro questa decisione. «Quando sarò presidente abolirò la pena di morte», scrive Sanders su Twitter. «La pena capitale è immorale e profondamente fallace. Troppi innocenti sono stati giustiziati. Abbiamo bisogno di una moratoria nazionale sulla pena di morte, non di una sua restaurazione», ha twittato Harris. Warren ha, infine, ribadito: «Il nostro sistema criminale ha una lunga storia di errori sulla pena capitale, specialmente quando si tratta di persone di colore. Non possiamo lasciare ad un sistema a pezzi il destino dei detenuti americani. Io mi oppongo alla pena di morte».