Dall’Algeria all’Egitto fino alla Sicilia le storie di artiste coraggiose che con il loro canto si sono ribellate ai diktat patriarcali. Fairuz, Umm Kalthum, Cheikha Rimitti e le altre hanno lasciato il segno nella cultura del mondo arabo e dei Paesi del Mediterraneo

Mi è capitato di leggere il bel romanzo di Hoda Barakat, Corriere di notte (La Nave di Teseo, traduzione di Samuela Pagani), proprio mentre chiudevo le bozze per Fusibilia de Il canto libero delle stelle mediterranee, un testo dedicato alle storie delle principali cantanti arabo-mediterranee del Novecento, e sono stata felicemente colpita dalla presenza di alcune di loro anche nel libro della scrittrice libanese. Corriere di notte, vincitore dell’International Prize for arabic fiction 2019, il più importante premio per la letteratura araba, ha la forma di un romanzo epistolare che raccoglie l’ultima struggente lettera scritta da ciascun personaggio. Una di queste voci inconsolabili – reduci da guerre civili, violenza, distruzione, fallimenti e disillusioni -, termina la sua lettera disperata alla madre rincuorandosi al pensiero di ascoltare una canzone della stella del Libano: «Metterò Fairuz in cima ai preferiti del mio cellulare e mi addormenterò. Cercherò di non piangere sentendo la sua bella e tenera voce. Mia cara madre, dovunque tu sia, buonanotte».

La presenza di Fairuz, così come quella della diva egiziana Umm Kalthum in un’altra lettera, mi ha confermato quanto queste cantanti abbiano avuto e abbiano ancora oggi un ruolo centrale nelle società dei Paesi arabi. Un ruolo consolatorio da un lato e unificante da un altro. Non esiste un arabo che non abbia mai ascoltato una canzone di entrambe. I loro repertori, se pur diversi, fanno parte di un patrimonio comune e soprattutto nelle generazioni più adulte è ancora un’abitudine irrinunciabile ascoltarli. Fairuz la mattina, Umm Kalthum la sera.

Quando ho cominciato a incuriosirmi alle storie di queste cantanti, ho capito che raccontandole avrei potuto contribuire a smentire il pregiudizio che cristallizza l’immagine delle donne arabe in signore velate, sottomesse e ammutolite e a ricordare che sono esistite figure femminili lontane dagli stereotipi diffusi in Occidente, donne autorevoli e forti che sono riuscite a tirare fuori la voce e a essere padrone del loro destino.

Alle emblematiche vite di Umm Kalthum, “la madre di tutti” che nacque nel 1898 in piccolo villaggio sul delta orientale del Nilo in una famiglia musulmana, e di Fairuz, ancora vivente, nata tra le montagne del Libano nel 1935 in una casa siriaco-cattolica, si intrecciano le storie di altre donne che hanno cantato per esistere. È il 1912 quando la principessa drusa…

L’articolo di Francesca Bellino prosegue su Left in edicola dal 2 agosto 2019


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