Fallita la flexsecurity, in Ue avanza un modello di lavoro in cui è fissato un salario minimo, mentre tutte le altre prestazioni sociali solitamente garantite finiscono nelle mani dei privati. Per osteggiare questa visione, occorre pensare un nuovo livello di negoziazione dei contratti

Prima di essere modificata geneticamente dagli accordi di governo gialloverdi la parola «contratto» parlava subito di lotte sindacali. Ad essere sinceri la parola ha potuto essere abusata anche perché l’uso proprio si è andato indebolendo purtroppo nel corso degli anni (decenni) in cui la lotta di classe si è rovesciata a favore dei padroni e anche i contratti lo hanno registrato.

L’Europa come modello sociale era stata costruita proprio grazie alle conquiste contrattuali. Ancora di più lo era stata l’Italia proprio come forma unitaria e costituzionale. Invece nell’Europa reale, incredibilmente opposta a quella sociale, il lavoro tutelato dai contratti viene solo evocato ma un vero livello di contrattazione collettiva, che, per altro, sarebbe quanto mai funzionale alla tanto declamata armonizzazione, a livello europeo non è previsto. Infatti quando Ursula von der Leyen deve “chiamare” il voto grillino, ma anche di molti liberali e socialisti, nel suo discorso di presentazione a Strasburgo evoca una cosa diversa come il salario minimo europeo.

La presidente della Commissione europea, in realtà, evoca il riferimento ai contratti. Ma per capire meglio le intenzioni e i problemi sarà bene richiamare una parte, assai meno ripresa, del suo discorso, in cui parla di una assicurazione europea sulla disoccupazione. Di cosa si tratta? E che relazione ha, visto che viene richiamata insieme, col salario minimo? Che per essere tutelati dalla disoccupazione bisogna pagarsi una assicurazione privata?

Visto il…