La destra ha costruito il suo popolo, connesso a simboli comuni e per il resto chiuso nella propria casa. Eppure non ha ancora vinto, se noi ci metteremo in testa di combattere. C’è un’Italia diversa, ancora capace di riconoscere un senso alle parole solidarietà, uguaglianza e libertà

La risposta è no. È fortissimo, ha costruito un discorso pubblico egemonico, parla alla pancia delle persone, ma con una forte attenzione ai bisogni materiali di molte di loro. Ha capito che l’Italia è un Paese invecchiato e stanco, con la testa perennemente rivolta all’indietro, in cui la politica è ridotta ad un talent show trash.

Ha scommesso sulla sua capacità di conquistare un elettorato di destra orfano di Berlusconi, un elettorato populista orfano dei vaffa e persino un elettorato di sinistra orfano di tutto. Offre la libertà di odiare e nemici per farlo, facili perché isolati, diversi e indifesi.

Promette meno tasse ad un Paese in cui tanti sono abituati a non pagarle, e molti di più sono stanchi di pagare anche per gli altri. A tutti dice “sarete padroni a casa vostra”, e poco importa che per qualcuno si tratti di una baracca fronte discarica e per altri di una villa vista mare. In un Paese da anni in preda all’individualismo conta solo il proprio particolare, e non il contesto in cui è inserito. La destra ha costruito il suo popolo, connesso a simboli comuni e per il resto chiuso nella propria casa.

Eppure non ha ancora vinto, se noi ci metteremo in testa di combattere.
C’è infatti un’Italia diversa, ancora capace di riconoscere un senso alle parole solidarietà, uguaglianza e libertà. È stanca, sfiduciata, persino rassegnata, dopo anni di arretramento culturale, politico ed economico. In 30 anni di lotte aveva conquistato la sanità pubblica e gratuita, la pensione dopo 35 anni, il diritto di stare a testa alta sul posto di lavoro, istruzione per i figli e un proprio posto nel mondo. È stata travolta da tre decenni di controriforme, spesso agite da governi “amici”, che hanno trasformato i lavoratori in precari, tagliato e privatizzato tutti i servizi fondamentali, permesso il progressivo deterioramento della qualità della vita urbana.

Il colpo finale è stato caricato dalla Fornero e sparato da Renzi, con il Jobs Act, l’emarginazione dei sindacati, la Buona Scuola e l’abbraccio a Marchionne, e poi la dottrina Minniti e l’attacco ai diritti umani.
Se la destra ha plasmato il proprio popolo, la “sinistra” di governo ha sgretolato il suo. Né è bastata a ricostruire un senso la generosa opposizione di chi non si è piegato: troppo fragile, troppo debole, troppo contraddittorio.
Eppure non sono sparite le persone che nel 2011 vincevano un referendum chiedendo di riconquistare i beni comuni, a partire dall’acqua, e mettendo al centro la questione ecologica.

Né quelle che per quasi 20 anni si sono mobilitate nel Paese e nelle urne per difendere la democrazia e i diritti del lavoro, pur trovando spesso un ostacolo nei propri stessi rappresentanti. Sono state tradite, ma continuano a rappresentare un argine forte e potenzialmente maggioritario contro qualsiasi deriva autoritaria. Vanno richiamate tutte ad una nuova, immediata stagione di impegno, insieme alle giovani generazioni che in questi mesi hanno rappresentato la prima linea in difesa dell’umanità e del pianeta, contro il razzismo di Stato e il surriscaldamento globale.

Come? Tornando a mettere al centro il programma fondamentale di una sinistra del XXI secolo: forte redistribuzione per via fiscale della ricchezza, lotta serrata ai cambiamenti climatici, riduzione del tempo di lavoro, rilancio dell’istruzione gratuita, pubblica e permanente, sanità di qualità, restituzione di salario e diritti ai lavoratori, beni comuni contro la privatizzazione della vita.

Poche cose, nette e radicali, su cui costruire un nuovo patto sociale, che restituisca respiro alle splendide parole della nostra Costituzione.
Uniti non abbiamo mai perso, ma per unirci abbiamo bisogno di metterci alle spalle una lunga e triste stagione.
Ora è il momento.