«Nei confronti della realtà umana del bambino c’è un pregiudizio culturale storico, vale a dire l’idea che sia una tavoletta di cera da plasmare. Spesso l’atteggiamento nei confronti dei bambini è questo. Anche da parte di persone che per professione sono sovente in rapporto con loro, per cui vengono indotti a dire determinate cose. E i bambini lo fanno perché hanno la naturale tendenza a fidarsi degli adulti, purtroppo». Si parla molto da quasi due mesi dell’operazione “Angeli e demoni” sui presunti affidamenti illeciti di bambini a Bibbiano in provincia di Reggio Emilia. Fermo restando l'auspicio che sia fatta al più presto chiarezza e la presunzione d’innocenza delle persone coinvolte nelle indagini a vario titolo, abbiamo chiesto allo psichiatra e psicoterapeuta Andrea Masini di spiegarci cosa può accadere quando uno specialista ritiene di essere in presenza di una vicenda di abusi o maltrattamenti di minori in famiglia. Riguardo il caso in questione, ricordiamo che il procuratore capo Marco Mescolini all’Ansa al mometno dei primi arresti parlò di «lavaggio del cervello ai piccoli» per creare falsi ricordi (con lo scopo di toglierli ai loro genitori e affidarli ad altre famiglie). Plagio, insomma. Tuttavia, Mescolini ha anche doverosamente aggiunto che «non è il sistema dei servizi sociali sotto esame, ma le persone attinte dalla misura». Le ultime iscrizioni al registro degli indagati - tre, per abuso di ufficio - risalgono alla scorsa settimana. Professore, come ci si dovrebbe rapportare a un bambino per cercare di capire se davvero ha subito un abuso dai suoi genitori? È sempre difficile fare un “interrogatorio” o un colloquio con un bambino specie se si dà per scontato che qualcosa sia successo. Io spesso ho modo di riscontrare che il problema sia in questa mentalità per cui i bambini non sanno nulla ed è l’adulto che gli deve insegnare cosa dire. Al contrario, ci si deve sempre mettere in una reale situazione di ascolto, partecipe ed empatico nei loro confronti. Perché, come ampiamente dimostrato con la teoria della nascita di Fagioli, ogni bambino è portatore di una conoscenza, è dotato di una intelligenza e di una capacità di comprendere. Se manca questo approccio si inficia qualunque tipo di relazione. Da quella dell’assistente sociale a quella del magistrato o dello psicologo psicoterapeuta. Per evitare di mettere in bocca delle risposte preconfezionate c’è chi ha sottolineato l’importanza di fare delle domande indirette. Se c’è questo pregiudizio sulla realtà del bambino, anche le domande indirette purtroppo possono risolvere ben poco. Si deve riuscire a fare un pensiero, un’immagine di un bambino che è sapiente, che quindi sa le cose e te le può spiegare. A modo suo e nei termini suoi. Per il minore, quali sono le conseguenze di un pregiudizio del genere? Il bambino lo sente come vissuto emotivo ma non è in grado di opporsi alla “lesione”. Si tratta peraltro di un pregiudizio che non è nemmeno espresso e verbalizzato. Inoltre è diffuso nella nostra cultura e dunque lui lo ha già in parte vissuto nel rapporto con i genitori, in famiglia, a scuola. Questa immagine della tabula rasa su cui gli adulti devono scrivere è presentissima nella nostra cultura. Come se ne esce? Lo abbiamo accennato prima. Bisogna fare un cambio di paradigma culturale e scientifico e realizzare che il bambino pur avendo il suo modo di esprimersi ha sicuramente delle conoscenze molto esatte e profonde dei rapporti, di ciò che ha vissuto e di cosa è la vita. Senza questa conoscenza non si può immaginare né vedere il percorso di sviluppo che lui fa, imparando il linguaggio, imparando a muoversi nella società... Bisogna avere questa consapevolezza delle sue capacità, delle sue potenzialità e quindi mettersi in una dimensione di ascolto reale: “Cerco di capire cosa mi stai dicendo”. Questo vale per un medico, per un assistente sociale e per un genitore. Spesso invece l’adulto, tanto più se investito di un compito delicato come può essere quello dell’assistente sociale, dello psicologo terapeuta, del magistrato, quando si trova di fronte un minore ha già formulato un giudizio. Quindi poi rischia di adattarlo alla situazione del bambino, senza cercare di capire cosa stia realmente cercando di dire. Il procuratore Mescolini ha detto che il sistema dei servizi sociali non è sotto esame. Lei cosa ne pensa? Tante volte gli assistenti sociali salvano la vita a dei bambini che sono sottoposti a maltrattamenti, violenze o peggio. Purtroppo nella pratica clinica vedo che però alcuni compiono degli errori gravi. Questo dipende dal pregiudizio di cui abbiamo parlato? Può succedere che un disegno fatto da un bambino venga interpretato sulla base di una convinzione che l’operatore si è fatto senza dare l’attenzione necessaria al minore. E la relazione che presenta al magistrato viene redatta in modo tale che delle madri non pessime finiscono per perdere la genitorialità. E i loro figli vengono dati in affidamento. Essendo io uno psichiatra degli adulti di solito vengo chiamato per la perizia o la valutazione dei genitori. In alcuni casi sembrano brave persone, in altri invece era solo uno dei due quello con problemi (tossicodipendenza, etc), ma i figli sono stati lo stesso levati a tutti e due anche quando la madre cercava di tutelarli. Non c’è modo di evitarlo? Se l’assistente sociale scrive che ha il sospetto che il bambino stia soffrendo, il magistrato emette un decreto di allontanamento. Come abbiamo visto in questa vicenda di Reggio Emilia, il meccanismo di legge dell’affidamento provvisorio mette la decisione nelle mani degli assistenti sociali. Sono formati per fare un’analisi psicologica? Dipende. Gli assistenti sociali più anziani hanno un diploma equiparabile a quello di una maestra d’asilo, ora invece per accedere alla professione occorrono studi universitari. Il punto è che la nuova legge del 2015 andrebbe risistemata, si sa che non funziona. È troppo sbilanciata, anche dal punto di vista degli assistenti sociali. Se accade qualcosa a un bambino che hanno visto reputando che non fosse in pericolo, tutta la responsabilità ricade su di loro pur non avendo competenze specifiche. Un cambiamento va fatto anche a tutela degli assistenti sociali, nel loro interesse. È vero che hanno un potere enorme ma dall’altra parte se succede qualcosa si devono assumere tutta la responsabilità. Andrea Masini è direttore della rivista scientifica Il sogno della farfalla e docente della scuola di psicoterapia dinamica Bios Psichè di Roma.

«Nei confronti della realtà umana del bambino c’è un pregiudizio culturale storico, vale a dire l’idea che sia una tavoletta di cera da plasmare. Spesso l’atteggiamento nei confronti dei bambini è questo. Anche da parte di persone che per professione sono sovente in rapporto con loro, per cui vengono indotti a dire determinate cose. E i bambini lo fanno perché hanno la naturale tendenza a fidarsi degli adulti, purtroppo». Si parla molto da quasi due mesi dell’operazione “Angeli e demoni” sui presunti affidamenti illeciti di bambini a Bibbiano in provincia di Reggio Emilia. Fermo restando l’auspicio che sia fatta al più presto chiarezza e la presunzione d’innocenza delle persone coinvolte nelle indagini a vario titolo, abbiamo chiesto allo psichiatra e psicoterapeuta Andrea Masini di spiegarci cosa può accadere quando uno specialista ritiene di essere in presenza di una vicenda di abusi o maltrattamenti di minori in famiglia. Riguardo il caso in questione, ricordiamo che il procuratore capo Marco Mescolini all’Ansa al mometno dei primi arresti parlò di «lavaggio del cervello ai piccoli» per creare falsi ricordi (con lo scopo di toglierli ai loro genitori e affidarli ad altre famiglie). Plagio, insomma. Tuttavia, Mescolini ha anche doverosamente aggiunto che «non è il sistema dei servizi sociali sotto esame, ma le persone attinte dalla misura». Le ultime iscrizioni al registro degli indagati – tre, per abuso di ufficio – risalgono alla scorsa settimana.

Professore, come ci si dovrebbe rapportare a un bambino per cercare di capire se davvero ha subito un abuso dai suoi genitori?

È sempre difficile fare un “interrogatorio” o un colloquio con un bambino specie se si dà per scontato che qualcosa sia successo. Io spesso ho modo di riscontrare che il problema sia in questa mentalità per cui i bambini non sanno nulla ed è l’adulto che gli deve insegnare cosa dire. Al contrario, ci si deve sempre mettere in una reale situazione di ascolto, partecipe ed empatico nei loro confronti. Perché, come ampiamente dimostrato con la teoria della nascita di Fagioli, ogni bambino è portatore di una conoscenza, è dotato di una intelligenza e di una capacità di comprendere. Se manca questo approccio si inficia qualunque tipo di relazione. Da quella dell’assistente sociale a quella del magistrato o dello psicologo psicoterapeuta. Per evitare di mettere in bocca delle risposte preconfezionate c’è chi ha sottolineato l’importanza di fare delle domande indirette. Se c’è questo pregiudizio sulla realtà del bambino, anche le domande indirette purtroppo possono risolvere ben poco. Si deve riuscire a fare un pensiero, un’immagine di un bambino che è sapiente, che quindi sa le cose e te le può spiegare. A modo suo e nei termini suoi.

Per il minore, quali sono le conseguenze di un pregiudizio del genere?

Il bambino lo sente come vissuto emotivo ma non è in grado di opporsi alla “lesione”. Si tratta peraltro di un pregiudizio che non è nemmeno espresso e verbalizzato. Inoltre è diffuso nella nostra cultura e dunque lui lo ha già in parte vissuto nel rapporto con i genitori, in famiglia, a scuola. Questa immagine della tabula rasa su cui gli adulti devono scrivere è presentissima nella nostra cultura.

Come se ne esce?

Lo abbiamo accennato prima. Bisogna fare un cambio di paradigma culturale e scientifico e realizzare che il bambino pur avendo il suo modo di esprimersi ha sicuramente delle conoscenze molto esatte e profonde dei rapporti, di ciò che ha vissuto e di cosa è la vita. Senza questa conoscenza non si può immaginare né vedere il percorso di sviluppo che lui fa, imparando il linguaggio, imparando a muoversi nella società… Bisogna avere questa consapevolezza delle sue capacità, delle sue potenzialità e quindi mettersi in una dimensione di ascolto reale: “Cerco di capire cosa mi stai dicendo”. Questo vale per un medico, per un assistente sociale e per un genitore. Spesso invece l’adulto, tanto più se investito di un compito delicato come può essere quello dell’assistente sociale, dello psicologo terapeuta, del magistrato, quando si trova di fronte un minore ha già formulato un giudizio. Quindi poi rischia di adattarlo alla situazione del bambino, senza cercare di capire cosa stia realmente cercando di dire.

Il procuratore Mescolini ha detto che il sistema dei servizi sociali non è sotto esame. Lei cosa ne pensa?

Tante volte gli assistenti sociali salvano la vita a dei bambini che sono sottoposti a maltrattamenti, violenze o peggio. Purtroppo nella pratica clinica vedo che però alcuni compiono degli errori gravi.

Questo dipende dal pregiudizio di cui abbiamo parlato?

Può succedere che un disegno fatto da un bambino venga interpretato sulla base di una convinzione che l’operatore si è fatto senza dare l’attenzione necessaria al minore. E la relazione che presenta al magistrato viene redatta in modo tale che delle madri non pessime finiscono per perdere la genitorialità. E i loro figli vengono dati in affidamento. Essendo io uno psichiatra degli adulti di solito vengo chiamato per la perizia o la valutazione dei genitori. In alcuni casi sembrano brave persone, in altri invece era solo uno dei due quello con problemi (tossicodipendenza, etc), ma i figli sono stati lo stesso levati a tutti e due anche quando la madre cercava di tutelarli.

Non c’è modo di evitarlo?

Se l’assistente sociale scrive che ha il sospetto che il bambino stia soffrendo, il magistrato emette un decreto di allontanamento. Come abbiamo visto in questa vicenda di Reggio Emilia, il meccanismo di legge dell’affidamento provvisorio mette la decisione nelle mani degli assistenti sociali.

Sono formati per fare un’analisi psicologica?

Dipende. Gli assistenti sociali più anziani hanno un diploma equiparabile a quello di una maestra d’asilo, ora invece per accedere alla professione occorrono studi universitari. Il punto è che la nuova legge del 2015 andrebbe risistemata, si sa che non funziona. È troppo sbilanciata, anche dal punto di vista degli assistenti sociali. Se accade qualcosa a un bambino che hanno visto reputando che non fosse in pericolo, tutta la responsabilità ricade su di loro pur non avendo competenze specifiche. Un cambiamento va fatto anche a tutela degli assistenti sociali, nel loro interesse. È vero che hanno un potere enorme ma dall’altra parte se succede qualcosa si devono assumere tutta la responsabilità.

Andrea Masini è direttore della rivista scientifica Il sogno della farfalla e docente della scuola di psicoterapia dinamica Bios Psichè di Roma.

Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).