La governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, ha finalmente annunciato il ritiro ufficiale della contestata legge sull’estradizione, che ha causato l’inizio delle proteste di massa a giugno. Inoltre, aprirà un’indagine per studiare le cause della rivolta sociale e suggerire delle soluzioni per il futuro, oltreché per esaminare il comportamento delle forze di polizia durante le manifestazioni (senza ricorrere però ad una commissione di inchiesta indipendente, come richiesto dai cittadini).
La decisione di ritirare la legge testimonia l’apertura del governo rispetto ad almeno uno dei cinque punti dei manifestanti, che chiedono anche la destituzione dell’attuale governo e maggiore rispetto per la democrazia, l’amnistia per coloro che sono stati arrestati, l’eliminazione della definizione di “rivoltosi” per i protestanti.
La governatrice Lam aveva già sospeso in precedenza il provvedimento che avrebbe permesso l’estradizione di alcuni cittadini in Cina, verso Macao, e Taiwan per essere sottoposti a processo. Un provvedimento che avrebbe potuto trasformarsi in uno strumento nelle mani di Pechino per estradare gli avversari politici e rafforzare il controllo cinese sugli hongkonghesi. La semplice sospensione della norma non scongiurava la possibilità che potesse poi essere reintrodotta in qualsiasi momento dal governo filocinese.
Solo martedì 3 settembre il governo cinese aveva ribadito di avere il potere di dichiarare unilateralmente lo stato di emergenza per placare i disordini, dopo la circolazione di immagini che mostravano uno studente adolescente esanime trascinato dagli agenti, che, secondo alcune testimonianze, sarebbe in coma in seguito a lesioni alla colonna vertebrale o a una rottura del cranio.
Una portavoce dell’Ufficio per gli Affari di Hong Kong e Macao del Consiglio di Stato, ha citato la Basic law, la legge che regola le relazioni tra Pechino e l’ex colonia britannica. In base all’articolo 18, l’organo di vertice del Parlamento cinese, il Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, può dichiarare lo stato di emergenza «a causa di turbolenze» che «mettono in pericolo l’unità o la sicurezza sicurezza nazionale e che vanno al di là del controllo della Regione» amministrativa speciale. Il governo «non rimarrà a guardare», ha poi commentato la portavoce, e «non permetterà che la situazione a Hong Kong continui senza sosta».
Il 4 settembre la portavoce ha confermato il sostegno al governo locale, ma la priorità è sempre quella di ristabilire l’ordine. Intanto nelle ultime ore, la Reuters ha fatto circolare un video ripreso durante una riunione a porte chiuse, in cui Lam ha ammesso che se potesse si dimetterebbe, e ha chiesto a Pechino di accettare alcune tra le richieste degli hongkonghesi. La leader ha, in seguito, smentito di avere mai avuto l’intenzione di discutere le proprie dimissioni con il governo centrale e ha etichettato il video come fake news.
«Troppo poco, troppo tardi», ha scritto su Twitter Joshua Wong, già leader del movimento degli ombrelli del 2014, arrestato e poi rilasciato la scorsa settimana, a proposito del ritiro della legge sull’estradizione. «La risposta di Carrie Lam è arrivata dopo il sacrificio di 7 vite, l’arresto di oltre 1.200 dimostranti, con molti maltrattati nelle stazioni di polizia».
https://twitter.com/joshuawongcf/status/1167417920122585090
«Sollecitiamo anche il mondo a essere vigile – ha poi aggiunto Wong – e a non farsi ingannare dai governi di Hong Kong e di Pechino. Infatti, non hanno ingannato nessuno e una stretta su larga scala è in arrivo».
https://twitter.com/joshuawongcf/status/1169167621826048001