Misureremo il governo sul progetto strategico, senza aperture di credito politiciste, eccessive. Gli errori del passato ci sono oggi vietati, con le destre sovraniste, nazionaliste, populiste in agguato.
Uno dei temi di verifica maggiore mi sembra l’interrogarsi sull’apertura immediata di una politica meridionalista. Dopo, infatti, quattro decenni di silenzi sul Sud, dopo anni in cui è ripresa l’emigrazione meridionale, soprattutto giovanile, è giunto alfine il tempo di aprire la “nuova questione meridionale”, in un tornante storico di ricollocazione dei poteri nazionali ed internazionali, a più di 150 anni dall’Unità nazionale, da quel Risorgimento che Gramsci giudicò una rivoluzione fallita. Fin dal 1920, infatti, Gramsci tratta la “questione meridionale” come specifica determinazione del capitalismo e considera la necessità di dare «importanza specialmente alla questione meridionale, cioè alla questione in cui il problema dei rapporti tra operai e contadini si pone non soltanto come problema di rapporti di classe, ma anche e specialmente come un problema territoriale», cioè come uno degli aspetti, fondamentale, della questione nazionale. Qui siamo. Continueremo a scrivere ed informare per eliminare dal campo il diabolico progetto secessionista della autonomia differenziata, eversiva sul terreno costituzionale, “secessione dei ricchi” antimeridionale sul piano sistemico.
Vi è ora l’occasione di cambiare radicalmente punto di vista, evitando strambi compromessi al ribasso che ci apparirebbero incomprensibili. La crisi strutturale sta, infatti, avendo effetti asimmetrici tra le regioni italiane: il Sud è più dipendente dalla domanda interna e le politiche recessive hanno “picchiato” molto di più, per i tagli alla spesa, la precarizzazione totale del mercato del lavoro, l’intreccio tra economia legale, “grigia”, criminale. Non può ancora una volta il governo parlare genericamente di interventi al Sud. Non si può tutto ridurre ad un accordo con Confindustria, con meri interventi di incentivazioni finanziarie agli investimenti e sgravi contributivi. Bisogna rimettere in discussione modelli produttivi, rilanciare progetti di sviluppo autocentrato sulle risorse del territorio e sulle esigenze della popolazione, delle comunità territoriali, rompere la spirale dello sviluppo duale Nord/Sud. Anche sul reddito di cittadinanza, nome usurpato per un provvedimento del governo gialloverde sbagliato, punitivo, razzista, di controllo sociale, occorre intervenire per cambiarne ispirazione e filosofia. Credo occorra rilanciare il “reddito di dignità”. Si deve agire, ovviamente, anche sul piano europeo. Finora esso eroga soltanto 7 miliardi di investimento. Poca cosa se non si interviene sui vincoli di spesa collegati alle regole europee, rimettendole in discussione e al patto di stabilità interno.
Vi è, in definitiva, l’occasione (a suo modo storica) di riproporre, nelle pratiche politiche e di governo, l’irrisolto tema dell’identità meridionale e del destino strategico del Sud. Esso allude alla contraddizione tra capitale e vita, che sta ricostruendo, in forme a volte caotiche, la filiera dei territori. I quali non sono parassitismo, nicchie di arretratezza, ma epifenomeni della globalizzazione, luoghi in cui scorrono vite (soprattutto giovanili) precarizzate.
Vanno riletti i “tanti Sud”, le forme inedite della nuova dipendenza, dello “sviluppo diseguale”. Le giovani generazioni sono schiacciate all’interno di un aspro rapporto di dominio biopolitico. Siamo giunti ad un livello di precaria tenuta democratica, insidiata anche dalla pervasività delle economie e dei comandi mafiosi. Presidi democratici, autoorganizzazioni conflittuali, occupazioni, ribellioni, reti sociali, vanno fatti esprimere, non repressi.
La ricostruzione sociale nel Sud riconnette resistenza conflittuale, condivisione popolare e mutualismo. Se il Nord, insomma, guarda alla Baviera, alla Carinzia, alla macroregione mitteleuropea, per l’inserimento subalterno del proprio sistema produttivo di piccole e medie aziende, dal Sud può ripartire una critica serrata all’Unione europea, per invertire baricentro e priorità e perché sia valorizzato il ruolo del Sud come cerniera privilegiata (socialmente, culturalmente, anche geopoliticamente) tra Europa e Mediterraneo. Sia l’Europa che il Mediterraneo vivono, oggi, nel terremoto.
Da qui si può ripartire per definire nuovi equilibri. Il Sud è, infatti, oggi, un tragico ma anche fecondo ed innovativo laboratorio di temi produttivi, ecologici, antropologici (penso alle grandi migrazioni). Le lotte per i lavori di qualità, per il reddito possono rilanciare il sindacalismo territoriale delle vecchie “Camere del lavoro” oggi appannate dall’assenza di vertenzialità. Le esperienze di cooperazione Nord/Sud ma soprattutto Sud/Sud possono alimentare nuove ragioni di scambio, nuove aree economiche integrate.
Il Sud, in definitiva, non è un punto di programma tra gli altri; ma un paradigma di riorganizzazione dei luoghi di lavoro, degli spazi di vita.
[su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"][su_button url="https://left.it/left-n-37-13-settembre-2019/" background="#a39f9f" size="7"]SOMMARIO[/su_button] [su_button url="https://left.it/prodotto/left-37-2019-13-settembre/" target="blank" background="#ec0e0e" size="7"]ACQUISTA[/su_button]
[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]Misureremo il governo sul progetto strategico, senza aperture di credito politiciste, eccessive. Gli errori del passato ci sono oggi vietati, con le destre sovraniste, nazionaliste, populiste in agguato.
Uno dei temi di verifica maggiore mi sembra l’interrogarsi sull’apertura immediata di una politica meridionalista. Dopo, infatti, quattro decenni di silenzi sul Sud, dopo anni in cui è ripresa l’emigrazione meridionale, soprattutto giovanile, è giunto alfine il tempo di aprire la “nuova questione meridionale”, in un tornante storico di ricollocazione dei poteri nazionali ed internazionali, a più di 150 anni dall’Unità nazionale, da quel Risorgimento che Gramsci giudicò una rivoluzione fallita. Fin dal 1920, infatti, Gramsci tratta la “questione meridionale” come specifica determinazione del capitalismo e considera la necessità di dare «importanza specialmente alla questione meridionale, cioè alla questione in cui il problema dei rapporti tra operai e contadini si pone non soltanto come problema di rapporti di classe, ma anche e specialmente come un problema territoriale», cioè come uno degli aspetti, fondamentale, della questione nazionale. Qui siamo. Continueremo a scrivere ed informare per eliminare dal campo il diabolico progetto secessionista della autonomia differenziata, eversiva sul terreno costituzionale, “secessione dei ricchi” antimeridionale sul piano sistemico.
Vi è ora l’occasione di cambiare radicalmente punto di vista, evitando strambi compromessi al ribasso che ci apparirebbero incomprensibili. La crisi strutturale sta, infatti, avendo effetti asimmetrici tra le regioni italiane: il Sud è più dipendente dalla domanda interna e le politiche recessive hanno “picchiato” molto di più, per i tagli alla spesa, la precarizzazione totale del mercato del lavoro, l’intreccio tra economia legale, “grigia”, criminale. Non può ancora una volta il governo parlare genericamente di interventi al Sud. Non si può tutto ridurre ad un accordo con Confindustria, con meri interventi di incentivazioni finanziarie agli investimenti e sgravi contributivi. Bisogna rimettere in discussione modelli produttivi, rilanciare progetti di sviluppo autocentrato sulle risorse del territorio e sulle esigenze della popolazione, delle comunità territoriali, rompere la spirale dello sviluppo duale Nord/Sud. Anche sul reddito di cittadinanza, nome usurpato per un provvedimento del governo gialloverde sbagliato, punitivo, razzista, di controllo sociale, occorre intervenire per cambiarne ispirazione e filosofia. Credo occorra rilanciare il “reddito di dignità”. Si deve agire, ovviamente, anche sul piano europeo. Finora esso eroga soltanto 7 miliardi di investimento. Poca cosa se non si interviene sui vincoli di spesa collegati alle regole europee, rimettendole in discussione e al patto di stabilità interno.
Vi è, in definitiva, l’occasione (a suo modo storica) di riproporre, nelle pratiche politiche e di governo, l’irrisolto tema dell’identità meridionale e del destino strategico del Sud. Esso allude alla contraddizione tra capitale e vita, che sta ricostruendo, in forme a volte caotiche, la filiera dei territori. I quali non sono parassitismo, nicchie di arretratezza, ma epifenomeni della globalizzazione, luoghi in cui scorrono vite (soprattutto giovanili) precarizzate.
Vanno riletti i “tanti Sud”, le forme inedite della nuova dipendenza, dello “sviluppo diseguale”. Le giovani generazioni sono schiacciate all’interno di un aspro rapporto di dominio biopolitico. Siamo giunti ad un livello di precaria tenuta democratica, insidiata anche dalla pervasività delle economie e dei comandi mafiosi. Presidi democratici, autoorganizzazioni conflittuali, occupazioni, ribellioni, reti sociali, vanno fatti esprimere, non repressi.
La ricostruzione sociale nel Sud riconnette resistenza conflittuale, condivisione popolare e mutualismo. Se il Nord, insomma, guarda alla Baviera, alla Carinzia, alla macroregione mitteleuropea, per l’inserimento subalterno del proprio sistema produttivo di piccole e medie aziende, dal Sud può ripartire una critica serrata all’Unione europea, per invertire baricentro e priorità e perché sia valorizzato il ruolo del Sud come cerniera privilegiata (socialmente, culturalmente, anche geopoliticamente) tra Europa e Mediterraneo. Sia l’Europa che il Mediterraneo vivono, oggi, nel terremoto.
Da qui si può ripartire per definire nuovi equilibri. Il Sud è, infatti, oggi, un tragico ma anche fecondo ed innovativo laboratorio di temi produttivi, ecologici, antropologici (penso alle grandi migrazioni). Le lotte per i lavori di qualità, per il reddito possono rilanciare il sindacalismo territoriale delle vecchie “Camere del lavoro” oggi appannate dall’assenza di vertenzialità. Le esperienze di cooperazione Nord/Sud ma soprattutto Sud/Sud possono alimentare nuove ragioni di scambio, nuove aree economiche integrate.
Il Sud, in definitiva, non è un punto di programma tra gli altri; ma un paradigma di riorganizzazione dei luoghi di lavoro, degli spazi di vita.