La riflessione che deve fare il Partito democratico sugli ultimi anni della sua storia

Riceviamo e pubblichiamo l’opinione di Gabriele Beccari dottorando in Economia e Finanza.

Scrivo di getto dopo aver letto che finalmente Matteo Renzi ha abbandonato il Partito Democratico. La notizia era già da tempo nell’aria ma adesso che è diventata ufficiale e la linea è stata tracciata, c’è l’auspicio che chi resta guardi al passato per chiedersi cosa sia successo in questi 15, forse 16, anni e perché un partito di sinistra abbia potuto lasciare che un uomo di destra diventasse presidente della Provincia di Firenze a 29 anni, sindaco di Firenze a 34, segretario nazionale a 38 e presidente del Consiglio a 39, sotto i suoi simboli.

Uno potrebbe fare una semplice considerazione, e cioè quella che il Partito Democratico non è un partito di sinistra, che non è altro che quello che in gergo politologico viene definito un partito pigliatutto, ovvero una formazione politica con ideali interpretabili, e trattabili, pur di allargare lo spazio d’influenza.

Certamente la conclusione a cui si arriva alla fine di ogni ragionamento, alla fin fine, è sempre questa, ma nonostante tutto continua a non soddisfarmi in pieno perché il Pd non è sempre stato il partito di Matteo Renzi, e lo so che a dirla oggi sembra una cosa difficile da credere, ma ricordo che c’è stato un momento in cui la sua componente di sinistra era predominante, fosse anche solo per un fatto di tradizione.

In altre parole il Pd si è ammalato, e adesso che l’agente patogeno ha fondato un nuovo partito, dobbiamo indagare le cause della malattia, studiare i sintomi e cercare di capire perché in 15 anni gli anticorpi non hanno funzionato.

Partiamo da quello che riusciamo a ricordarci dei primi anni: nel 2007 chi scrive iniziava il liceo, nel centro di Firenze, in un turbinio di problemi adolescenziali, e iniziava anche ad appassionarsi di politica. Il Partito Democratico stava nascendo dalla fusione tra i Democratici di Sinistra e la Margherita, per ricercare la sintesi tra l’ala sinistra della Democrazia Cristiana e il vecchio Partito Comunista, con l’eccezione di Rifondazione che se n’era andata dal Pci già nel 1991, per cambiare il sistema partitico italiano in senso bipolare.

Renzi era già presidente della Provincia, anche se per la grande maggioranza degli elettori restava uno sconosciuto. Fu eletto nel giugno 2004 con il 58,74% dei voti all’interno di una larghissima coalizione che comprendeva i Ds (37,12%), la Margherita (9,10%), i Comunisti italiani (4.63%), i Verdi (3,47%) e altri partiti minori. Non c’era Rifondazione, che invece si presentò con un proprio candidato e prese in solitaria il 9,06%.

Degli anni fino al 2007 però, politicamente, non mi ricordo granché: ero troppo piccolo… sarebbe interessante una ricerca più approfondita perché è curioso notare come Renzi non fosse uno dei Ds bensì segretario provinciale de la Margherita, partito in larga minoranza all’interno della coalizione dominata invece dai Ds, che però nel 2004 esprimeva al livello nazionale il leader unitario dell’Ulivo Francesco Rutelli.

Leggendo i giornali del tempo viene anche il sospetto che Renzi venti anni fa non fosse tanto diverso da com’è ora: titolava infatti la Repubblica il 9 luglio 2004 “Renzi vara la giunta, malumore ds”. A leggerlo adesso, un titolo adatto a molte situazioni, basta sostituire ds con Pd.

Qualche anno dopo, nel 2008, la campagna delle primarie per il sindaco di Firenze è nel vivo; a sfidarsi ci sono numerosi candidati: Graziano Cioni “lo sceriffo”, Daniela Lastri, Lapo Pistelli (con cui collaborava Luca Lotti), Michele Ventura (sostenuto allora da una giovanissima avvocatessa, Maria Elena Boschi) e Matteo Renzi. Nessuno si aspettava che vincesse Renzi ma, come succede quando tutto deve andare storto, in pochi mesi ci fu il patatrac, e prima che qualcuno ci capisse qualcosa, quello che non doveva succedere successe.

Successe quindi che Graziano Cioni, membro della giunta uscente, famoso per essersene uscito fuori con un’ordinanza anti mendicanti e anti lavavetri che fece parlare a livello nazionale, finì a processo per corruzione per poi essere assolto anni dopo in Cassazione. A Cioni venne comunque chiesto di ritirarsi dalla corsa; non era un granché come candidato e in pochi se ne dispiacquero.

Tra quei pochi c’era però lo stesso Cioni che rilasciò una dichiarazione ai giornalisti: «Mi ritiro perché mi avete cacciato. Però resto nel Pd ma non resterò a guardare», e in molti capirono, come sottolineò anche Il Tempo in un articolo di quel periodo, che queste parole non erano altro che un “«avvertimento» al fatto che i suoi voti (sarebbero confluiti) su Matteo Renzi”.

Nel frattempo il Pd a livello nazionale non se la passava bene: la segreteria di Veltroni aveva perso tutte le elezioni in cui il partito si era presentato, e i malumori si facevano sentire. È in questo clima di generale spaesamento, e in mezzo a varie accuse (da più parti) di aver invitato al voto elettori di centrodestra, che Matteo Renzi vinse le primarie, e dato che è Matteo Renzi, le vinse con il 40% dei voti, diventando candidato sindaco.

Fu una cosa davvero inaspettata, Pistelli incredulo non chiamò personalmente Renzi per le congratulazioni ma fece sbrigare la formalità al suo capo staff, così girava voce; Daniela Lastri disse: «Adesso dovremo aprire una riflessione nel Pd: c’è stata una frammentazione nell’ambito dell’elettorato di sinistra». Fuori dal Pd, il candidato di Rifondazione Prof. Valdo Spini disse: «La domanda è: dove è finita la sinistra fiorentina?».
In pratica, tutti sapevano che era stato eletto un tipo di destra, non c’erano dubbi: lo sapevamo anche noi ragazzi del liceo.

Da cui appunto la vera domanda: dove era finita la sinistra fiorentina, e dopo di lei, dov’è finita la sinistra nazionale? Siamo partiti con l’idea che Matteo Renzi fosse la causa della malattia del Pd, ma se fosse invece la conseguenza di un sistema immunitario già debilitato?

Renzi è sempre stato Renzi, non si è mai presentato come un rivoluzionario, casomai come rottamatore. Mentre era sindaco venne proposto un cimitero dei feti a Trespiano, quando era segretario di partito l’Unità ha chiuso e da presidente del Consiglio ha attaccato la Costituzione, com’è possibile che la sinistra abbia permesso tutto questo?

Bisogna insomma capire perché non è stato notato che un Renzi qualunque voleva sparare cannonate contro quello che rimaneva della sinistra, con i voti della sinistra.

Adesso che se n’è finalmente andato forse potrebbe essere un po’ più semplice capire, ma questa è una riflessione che va fatta alla svelta, perché non sono molto fiducioso che il Governo Conte II riuscirà a tenere lontano Salvini a lungo, e quando ritorneremo a votare la sinistra avrà la responsabilità politica di non far cadere il Paese nelle mani della destra.

Sarà meglio che per allora abbia le idee chiare, perché a non averle si fanno pasticci facendo credere alle persone che Renzi sia di sinistra o peggio che sia l’unico argine a Salvini; e questa credo sarebbe una cattiveria.