Intuizione, capacità di andare contro i luoghi comuni, fantasia, sono importanti nel lavoro scientifico. Non bastano studio e rigore negli esperimenti. Lo scrive il vice direttore dell’Accademia dei Lincei Lamberto Maffei nel libro Elogio della ribellione
Perché un pensiero cambi il mondo, bisogna prima che cambi la vita di colui che l’esprime. Che cambi in esempio» scriveva Albert Camus nei Taccuini (1935-59). Il neurobiologo e vice direttore dell’Accademia dei Lincei Lamberto Maffei ne ha fatto l’esergo di un suo personale Elogio della ribellione (Il Mulino), scritto dal punto vista di un medico che ha trascorso molti anni a insegnare in Normale e a fare ricerca. Un’attività che, scrive Maffei, chiede di «essere aperti alla meraviglia del nuovo e dell’incontro».
L’intuizione, la capacità di mettere in discussione dogmi e tradizione, la fantasia, accompagnano da sempre le scoperte scientifiche. Dall’eliocentrismo che mandò gambe all’aria il sistema aristotelico tomistico alla relatività di Einstein che apriva alla quarta dimensione, fino al Bosone teorizzato da Higgs, solo per fare degli esempi.
Professor Maffei, oltre all’impegno nello studio, quanto conta nella ricerca sapersi ribellare?
È una questione che sento molto avendo fatto il ricercatore tutta la vita. La scienza è il nuovo, saper pensare diversamente. Ma spesso le congiunture economiche spingono a seguire certe direttive, perché solo così si trovano i fondi nella ricerca applicata. E questo riduce anche lo studioso più fantasioso a schiavo. Così diventa davvero difficile fare ricerca: che è andare contro, è fantasia, è ribellarsi ai luoghi comuni, tentare di rovesciarli, guardando al futuro. Non a caso la fanno soprattutto i giovani. L’azzardo del pensiero è importante per aprire nuove strade.
Quanto è praticabile per i ricercatori in Italia?
Qui la loro condizione è precaria, mancano i fondi, spesso devono sottostare a persone che gli indicano cosa fare o non fare. Sovente il ricercatore non ha neanche la libertà di seguire un proprio pensiero perché c’è qualcuno che è economicamente più forte, più potente, che decide per lui. Per chi fa ricerca essere libero di pensare è la ricompensa, è ciò che vuole fare. È molto difficile per il ricercatore italiano oggi ribellarsi, se non andandosene via. Alla scuola Normale, dove ho insegnato per tanti anni, tutti gli allievi prima della laurea sono già impegnati all’estero e pochi ritornano. Anche l’insegnate a un certo punto ne è contento. È vero che perdiamo delle grandi menti, ma almeno questi giovani si realizzano come ricercatori, come individui.
In Elogio della ribellione lei sottolinea l’importanza dell’infanzia, quando si è più recettivi e aperti al nuovo. Qual è il compito della scuola?
La scuola dovrebbe stimolare il pensiero critico. È importante perché i ragazzi crescano senza essere condizionati dalle risposte preconfezionate che offono i media. Fondamentali in questo senso sono le materie umanistiche, ovvero tutte le discipline che sono guidate dalla curiosità, dal desiderio di conoscenza, fra le quali includo anche la biologia, la fisica eccetera. Così il ragazzo si abitua a ragionare, a porsi delle domande, è stimolato a pensare e non a credere. Se uno presta fede a tutte le fandonie che ci vorrebbero imporre, allora si forma un cittadino succube a ciò che gli viene detto e – uscendo un po’ dal mio campo – vi vedo un pericolo per la democrazia.
Le macchine non hanno un pensiero emotivo, lei scrive, dunque i robot non potranno mai sostituire l’umano. Tuttavia il ruolo delle nuove tecnologie è importante, cosa ne pensa?
Le nuove tecnologie sono una grande scoperta, la rete permette scambi e circolazione delle informazioni. Non a caso i dittatori cercano di controllare e censurare i social network. Però, anche le tecnologie hanno effetti collaterali. Come li hanno gli antiobiotici e farmaci che hanno salvato tante vite. Fra gli effetti collaterali della rete c’è quello di diffondere bufale, false informazioni, messaggi religiosi, penso ai fondamentalisti. Anche per fare un buon uso della rete serve un pensiero critico. Grazie alla rete oggi i giovani si collegano con i loro compagni di tutto il mondo. Ma stando da soli in una stanza. E poi ci sono gli anziani che usano altri linguaggi e rischiano l’emarginazione. La globalizzazione e le nuove tecnologie paradossalmente creano anche solitudine.
Lei studia le malattie neurodegenerative: c’è un modo di “ribellarsi” a malattie oggi senza terapie efficaci come l’Alzheimer?
Il cervello ha bisogno di stimoli esogeni e endogeni come quelli provenienti dalla memoria. Un cervello senza stimoli è “in coma”. Da un punto di vista medico si può aiutare l’anziano ridandogli degli stimoli. Se ha rapporti umani, se riceve stimoli cognitivi, motori, e di altro tipo – per esempio la musica è molto efficace – allora le sue capacità mentali, cerebrali, indubbiamente migliorano. Per sempre? No, ma rallentano i processi di invecchiamento che oggi non di rado hanno un esito crudele come l’Alzheimer: sta diventando una malattia pandemica. Se possiamo rallentarne il corso, se riusciamo a tenere queste persone in uno stato di attività cerebrale normale o para normale, è una grande opera, medica, umana e da ultimo economica. Un paziente Alzheimer “costa” da 50 a 100mila euro l’anno. In Italia le persone che ne sono affette sono 1 milione circa. Nel mondo, 36 milioni.
Dormire e sognare è fondamentale per la salute psico-fisica?
Vengo da una scuola che era famosa per lo studio del sonno, il metabolismo di molte catene molecolari, se non si dorme, va in tilt, si perde la memoria, l’attività muscolare e così via. L’ideale sarebbe dormire 7-8 ore. Ma oggi in media sono 6, incombe il mondo della produzione, del consumismo. Io la vedo come una cosa piuttosto pericolosa che tutto debba essere consumato e buttato, serve solo ad aumentare l’enorme iato fra la stragrande maggioranza di poveri e l’un per cento dei super ricchi. Un insulto all’umanità.
Nasce anche da qui il suo elogio della ribellione ?
Penso che la ribellione debba essere in primo luogo mentale. Abbiamo una mente diversa da quella degli animali. Nella foresta il leone e la tigre hanno le loro leggi, quelle della sopravvivenza, noi siamo sottoposti alle stesse leggi biologiche, ma abbiamo la possibilità di scegliere, di dire no. Perché sfruttare il mio amico? Perché l’altro dovrebbe essere diverso da me? Fra tutti gli esseri umani c’è un’uguaglianza di base. Stabilire differenze fra uno spazzino, un professore o un imprenditore è un’offesa all’intelligenza.