Per guardare a questa malattia da un punto di vista inedito abbiamo chiesto a Valentina Ruggiero, operatrice OSS che da anni lavora in un centro Alzheimer, di parlarci della sua innovativa iniziativa: il laboratorio di teatro per pazienti Alzheimer.

Il 21 settembre è la giornata mondiale dell’Alzheimer, istituita nel 1994 per iniziativa dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità). Un’occasione per approfondire la conoscenza di una malattia molto diffusa e con un’eziologia specifica ancora in parte da capire. Saranno molte le iniziative, i congressi e gli incontri in tutta Italia. Per guardare a questa malattia da un punto di vista inedito abbiamo chiesto a Valentina Ruggiero, operatrice socio sanitaria che da anni lavora in un centro Alzheimer, di parlarci della sua innovativa iniziativa: il laboratorio di teatro per pazienti Alzheimer.
Perché proprio il teatro?
Perché è una mia grande passione, insieme al cinema, su cui sapevo avrei potuto contare e che avrei potuto trasmettere ai partecipanti al corso. È importante poter fare affidamento su una forte spinta interiore perché un laboratorio come questo può essere molto faticoso da portare avanti: bisogna non arrendersi mai e proporre in maniera sempre diversa e costante contenuti e attività, che permettano agli attori di memorizzare il lavoro fatto.
Non è un controsenso proporre a dei pazienti Alzheimer un’attività in cui la memoria ha un ruolo così importante?
Al contrario. È proprio grazie al fatto che queste persone siano spinte a ricordare una parte, un movimento, un’intenzione che questo corso può avere un’importanza fondamentale per loro. La perdita di memoria (amnesia), o addirittura la perdita della capacità di riconoscere oggetti e persone (agnosia), sono infatti alcuni degli aspetti più invalidanti del morbo di Alzhaimer. Con un laboratorio di teatro essi diventano proprio gli scogli da superare, i limiti da valicare. È una continua lotta per riappropriarsi del terreno interiore che è sempre in pericolo di venir perduto. È ovvio, non tutti i pazienti possono affrontare questa impresa ma per molti è possibile e auspicabile. Deve essere un lavoro costante, questa è la cosa più importante, perché così diventa sempre presente, e memorizzabile. Un’attività continuativa con un obiettivo chiaro, la messinscena finale, è proprio quello di cui hanno bisogno. Il mio lavoro è questo: proporre loro un obiettivo, in un ambiente stimolante e divertente; una routine di riscaldamento, esercizi e giochi che permetta di loro di ritrovare la “terra sotto i piedi” e poi un rapporto di fiducia, con me e con gli altri operatori coinvolti, e di ricerca, con la parte e la dimensione artistica che comunque è presente. In maniera a volte sorprendente.
Il legame con chi conduce il corso è quindi importante?
Basilare è quello che permette agli allievi di costruire la memoria emotiva che dipana davanti a loro la strada da seguire per ritrovare il mondo di immagini costruito insieme.
E i risultati?
Enormi. Queste persone amano moltissimo questa attività, questa possibilità: anche alcuni pazienti più gravi. Per loro è una gioia enorme. Gli spettacoli sono sempre molto emozionanti e con performance anche di alto livello. Le famiglie poi spesso sono felici e partecipano con trepidazione, si commuovono perché è un’esperienza bellissima vedere i loro cari così coinvolti e vincenti.