La risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 dal titolo “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa” che in sostanza equipara il nazifascismo e il comunismo è tra gli atti più pericolosi che siano mai stati votati in quella sede. Pericolosa per la mistificazione del revisionismo che esprime. Pericolosa per la falsità delle motivazioni dichiarate. Pericolosa per le conseguenze che determinerà, ma che in effetti coincidono con finalità inespresse e sottese. L’Assemblea parlamentare, con la risoluzione n.1481 del 25 gennaio 2006 aveva già richiamato l’attenzione sui regimi comunisti e sulla violazione di massa dei diritti umani che aveva comportato la morte nei campi di concentramento, la persecuzione con torture e deportazioni, assassinii con privazioni e terrore.
Con quella risoluzione tuttavia, al di là degli altisonanti richiami alle libertà fondamentali, l’Unione europea, attraverso il Parlamento, non aveva di certo la finalità di condannare tutte le espressioni di privazione delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili, perché se così fosse stato, avrebbe dovuto estendere, non necessariamente nello stesso documento, gli stessi anatemi contro Israele per le persecuzioni contro i palestinesi, tanto per citare un esempio eclatante e contemporaneo, oppure i crimini giapponesi del secolo scorso, definiti come l’olocausto asiatico, ma queste omissioni confermano che le finalità erano altrove.
In realtà con la risoluzione 1481/2006 il Parlamento europeo si accingeva ad instillare nel dibattito pubblico europeo, il germe del revisionismo negando, di fatto, il sacrificio umano di milioni di sovietici morti per liberarci dal regime nazista e tracciando un confine impalpabile entro il quale consentire la libertà di espressione e oltre il quale invece negarla, con atteggiamento censorio, costruendo la base giuridica delle limitazioni alle espressioni politiche, ma soprattutto cominciando a costruire la base giuridica di una deriva anticomunista, in totale dissonanza dalla configurazione democratica dei partiti comunisti europei.
Nel 2006 i partiti socialisti e comunisti negli Stati dell’Unione, mantenevano ancora un bilanciamento contro lo stritolamento ordoliberista, e dunque quella risoluzione mantenne un profilo più limitato. Il salto negazionista e censorio si è avuto con la risoluzione del 19/9/2019, un documento che ha marcato la contraddizione nelle sue asserzioni, in maniera sfacciata e dialetticamente violenta, in un momento storico in cui i partiti comunisti e socialisti in alcuni Paesi, come ad esempio l’Italia, non hanno alcuna rappresentanza parlamentare.
I parlamentari europei italiani, espressione della piccola borghesia e del capitale finanziario, tutti rigorosamente di destra, in parte hanno votato a favore della risoluzione (Pd-FI-Lega) e in parte si sono pilatescamente astenuti (M5S). È pur vero che i parlamentari europei e italiani attuali mostrano una assoluta incapacità di distinguere un processo storico da una narrazione da cronaca, e sono dunque incapaci di dare una valutazione storica allo stalinismo ma lo strumentalizzano per arrivare al vero obiettivo: introdurre in Europa una politica anticomunista sollecitandone finanche la rimozione dei simboli, incuranti del fatto che quei simboli sono gli stessi che celebrano la vittoria sul nazismo.
L’Unione europea ha come obiettivo quello di cancellare una memoria storica, distorcendola su un giudizio già scontato, ovvero quello sullo stalinismo, perché questa narrazione serve al capitale finanziario che ieri finanziava Hitler e che oggi sostiene l’Ue. Cui prodest? Il comunismo e il socialismo, nella declinazione contemporanea, e non solo, restano strumenti ideologici per consentire alle masse di avviare processi di autocoscienza per contrastare lo sfruttamento delle classi lavoratrici, e nel momento in cui il comunismo accompagna in tutta Europa processi democratici di lotta allo sfruttamento, colpirne la simbologia significa colpire ideologicamente la forza delle masse sfruttate, svilendole a mere faccenduole di ordine pubblico.
La risoluzione del Parlamento europeo, per quanto non vincolante, vuole essere il paravento delle politiche capitalistiche, ormai l’unica cifra di una Unione Europea nella quale hanno spazio di affermazione solo i gruppi di potere finanziario, le multinazionali, le corporation, le quali esprimono solo classi politiche asservite, sbarrando la rappresentanza in ogni modo a chi non è asservito. Se la reale finalità del Parlamento europeo fosse stata quella di condannare gli eccidi, le torture e le repressioni, non avrebbero dovuto finanziare né il nazismo ucraino né la repressione turca, o i campi di concentramento libici, e inoltre avrebbero dovuto rivolgere concreta attenzione agli Stati Uniti e ai 30 milioni di morti che hanno causato in tutta la loro storia, per non parlare dei milioni di morti causati dal cristianesimo.
Dunque in termini quantitativi parliamo di cifre di gran lunga superiori a quelle causate da Stalin ma assai difficilmente troveremo parole di condanna contro gli Usa, ora che la Ue sta progressivamente sovrapponendosi alla politica di aggressione della Nato e anzi, nella risoluzione contro il comunismo, le parole di condanna esplicite contro la Russia fanno presagire politiche di attacco diretto. Quanto al crocifisso, simbolo di morte e tortura da duemila anni, anziché relegarlo in via definitiva al culto privato, c’è una reale possibilità che venga adottato come simbolo della UE perché è il simbolo che più di altri si avvicina, in assoluto, alla croce uncinata.
Carla Corsetti è segretario nazionale di Democrazia Atea e coordinatrice nazionale di Potere al Popolo