Se la crisi di governo è stata archiviata, e con essa nuove elezioni politiche, tra fine ottobre e maggio 2020, molti cittadini saranno chiamati alle urne per le regionali: dalla Toscana all’Emilia Romagna, passando per la Liguria, l’Umbria, le Marche, fino al Veneto.
Le consultazioni saranno, ancora una volta, un banco di prova per il neo governo, e il nuovo assetto politico nazionale sta smuovendo le acque anche in ambito locale. La Toscana è, insieme all’Emilia Romagna, una delle osservate speciali: regione tradizionalmente rossa, ha però conosciuto ripetute débacle alle amministrative.
Dopo la clamorosa sconfitta a Livorno nel 2014 con l’elezione del primo cittadino grillino Filippo Nogarin, altre città toscane hanno nel tempo cambiato colore, virando a destra: Cascina, Arezzo, Pisa, Siena, Cortona e Piombino. La Lega, forte delle ultime vittorie, ha più volte ribadito il desiderio di espugnare una delle regioni simbolo del centrosinistra.
Tommaso Fattori, consigliere regionale di Sì Toscana a Sinistra, coalizione che raggruppa movimenti, associazioni e partiti di sinistra, è un veterano della politica dal basso e dei movimenti. Organizzatore del primo Forum Sociale Europeo e portavoce del Social Forum di Firenze del 2002, Fattori è stato tra i principali promotori dei referendum del 2011 a favore dell’acqua pubblica riportando una storica vittoria con il 96% dei sì. Nel 2014 si è candidato alle europee con la lista L’Altra Europa per Tsipras per poi approdare nel Consiglio regionale toscano nel 2015.
Dal 20 al 22 settembre si è svolta a Calambrone (PI) la tre giorni di Sì Toscana a Sinistra, il cui claim è “Costruiamo l’alternativa per la Regione Toscana”. Quale è l’alternativa che ha in mente?
Alternativa significa nuova visione del mondo e costruzione di un modello ecologico e sociale in grado di assicurare protezione, restituendo la speranza in un orizzonte di felicità collettiva. Sì, protezione: dalla precarietà, dall’impoverimento, dalla mancanza di servizi, ormai assottigliati e privatizzati, e dal disastro ecologico. L’obiettivo primario è accrescere la ricchezza comune: garantire una sanità regionale davvero pubblica e universale, contrastandone la privatizzazione e il definanziamento; assicurare un tetto sulla testa a chiunque ne abbia bisogno, mentre si lasciano vuoti immensi contenitori nelle nostre città; finanziare un sistema di trasporto pubblico capillare al servizio dei pendolari, quando si è invece speso un miliardo di euro solo per scavare un cratere vuoto, che forse un giorno ospiterà un’inutile cattedrale dell’alta velocità, simil Tiburtina.
E ancora: elaborare un piano di gestione dei rifiuti centrato sulle fabbriche dei materiali, con tecnologie circolari per recuperare materia anziché distruggerla attraverso vecchi inceneritori o nuovi pirogassificatori; investire sulla ricerca e sul polo scientifico universitario, anziché sul nuovo aeroporto di Firenze; gestire pubblicamente l’acqua, anziché permettere a pochi di estrarre profitti da un bene di tutti; utilizzate le tecnologie per migliorare le nostre vite anziché renderle strumenti di arricchimento e controllo nelle mani di pochi.
E dunque alternativi a chi, alla Lega o al Pd?
Alternativi al modello privatizzatore e antiecologico che rende Pd e Lega molto più sovrapponibili di quanto non appaia. Pure sui temi dell’immigrazione e delle ossessioni securitarie, in questi anni, le differenze fra Pd e Lega sono state più di stile che di sostanza, e non sto solo parlando dei lager libici ai tempi di Minniti, ma anche dei Cpt, dell’obbrobrio sulla legittima difesa, delle ordinanze democratiche di sindaci democratici contro i mendicanti, delle “ruspe umanitarie” di Nardella nei campi Rom e via di questo passo.
Tutto fatto in giacca e cravatta e con toni educati anziché sbraitando contro le “zingaracce”, il che, per carità, almeno non getta nell’immediato benzina sul fuoco razzista, ma chi, per almeno vent’anni, ha fatto scelte di destra è pericoloso quanto una destra che fa la destra, e non mi pare che al momento si stia voltando pagina, purtroppo. Noi invece siamo la parte che desidera creare un altro mondo, la parte che aspira a liberare gli esseri umani e l’ecosistema dallo sfruttamento e dall’ingiustizia, la parte che coltiva utopie concrete, tenendo assieme ideali e pragmaticità. Con una nostra agenda, non inseguendo le agende altrui.
La tre giorni sarà l’occasione per ufficializzare la sua ricandidatura alle regionali. Crede di superare lo sbarramento del 5% stabilito dalla legge elettorale toscana, tenuto conto che alcuni dei suoi vecchi alleati- Sinistra Italiana- hanno da poco aperto ad un possibile appoggio al Pd?
Per la verità discuteremo di programmi e solo nei prossimi mesi di candidature. Quanto a Sinistra Italiana, è da sempre parte integrante del progetto regionale e sono sicuro che anche nella primavera prossima saremo tutti assieme. Un accordo dovrebbe infatti avvenire su base programmatica e la distanza con il Pd toscano di oggi, che poi è lo stesso della primavera 2015, è abissale, dunque ho motivo di credere che fra qualche mese tutti avranno verificato l’impossibilità di colmare questa distanza.
Aggiungo che sarebbe poco sensato depotenziare uno dei pochi esperimenti innovativi a sinistra che hanno dimostrato di funzionare, sia elettoralmente, sia nella costruzione di relazioni sui territori, oltre che nel lavoro istituzionale. In Consiglio abbiamo fatto un’opposizione propositiva, in coerenza con il nostro nome Sì – l’opposto di no – condensando in proposte di legge, mozioni, risoluzioni il nostro modello alternativo di governo. Anche grazie al nostro metodo di lavoro partecipativo, in questi anni si sono avvicinati tante liste di cittadinanza, comitati locali, oltre a gruppi di delusi del M5S, in fuga durante la fase di governo con la Lega.
Insomma, questo progetto collettivo è cresciuto rispetto a quando, nel 2015, prendemmo il 6,3%, un paio di mesi dopo essere nati. E vorremmo che il popolo della sinistra toscana potesse riprovare l’emozione, così rara, di votare due volte lo stesso simbolo, dando continuità al medesimo percorso, senza ogni volta smantellare tutto e ripartire da capo. Continuiamo a costruire, rifuggendo la pulsione autodistruttiva che abbiamo visto troppo spesso all’opera.
Anche in Toscana si parla da anni di grandi opere, prima fra tutte l’ampliamento dell’aeroporto di Firenze, fortemente voluto dal Pd, che presenta molteplici profili di criticità per l’ambiente e per il tessuto urbanistico. In una delle ultime sedute del Consiglio regionale si è assistito ad un’opposizione piuttosto morbida del M5S, storicamente contrario all’opera.
Siamo di fronte ad un’alleanza giallo-rossa anche in chiave toscana, dopo l’apertura ad un possibile accordo Pd/M5S per le regionali umbre?
Pensa che la battaglia contro l’aeroporto abbia ancora qualche probabilità di vittoria?
È probabile che Pd e M5S provino a replicare l’alleanza anche in Toscana, perché questo assicurerebbe loro il governo della Regione, ma i toni del M5S si erano già ammorbiditi durante la fase di governo con la Lega, favorevole al nuovo aeroporto tanto quanto il Pd. Il Tar, nel frattempo, ha annullato il decreto di compatibilità ambientale (Via) e di conseguenza il Ministero delle infrastrutture ha dovuto sospendere l’esecuzione del decreto che ratificava la conclusione della conferenza dei servizi, fermando tutto. Ovvio che la battaglia non può essere condotta solo sul piano giudiziario né essere confinata nel perimetro delle aule consiliari, serve l’iniziativa e la mobilitazione di cittadini attivi, di associazioni e comitati, ma gli spazi per continuare a vincere ci sono tutti, perché la popolazione dell’intera piana non vuole l’aeroporto, stanca di essere considerata la pattumiera di Firenze, come non lo vogliono i sindaci.
La nuova pista lì semplicemente non ci può stare, essendo un’area iperurbanizzata, fra le più inquinate d’Europa, satura di complessi produttivi e opere impattanti di ogni genere, autostrade comprese. Insieme ce l’abbiamo fatta ad impedire la costruzione dell’inceneritore di Case Passerini, ce la faremo anche realizzare il parco agricolo della piana e a sviluppare il polo universitario anziché la nuova pista.
Nel marzo scorso, insieme all’altro consigliere di Sì Toscana a Sinistra, Paolo Sarti, avete denunciato l’esistenza di un accordo tra la Regione Toscana e il Forum delle Associazioni Familiari che prevede la possibilità per le associazioni private antiabortiste di entrare nei consultori pubblici, a favore del quale è stato inoltre stanziato un contributo di 195 mila euro in tre anni.
L’autodeterminazione delle donne è un valore ancora così difficile da affermare politicamente e culturalmente?
Assolutamente sì, le spinte conservatrici provengono sia dalla società, sia dalla politica. Le donne guadagnano meno degli uomini, fanno meno carriera, vengono discriminate, in certi casi violentate e persino ammazzate per il solo fatto di essere donne. Al tradizionale modello maschile tossico, alla diffusa e mai sradicata mentalità patriarcale, al preoccupante aumento dei medici obiettori di coscienza, che limitano la piena applicazione della legge 194, adesso si somma la recrudescenza di una destra fortemente maschilista nel linguaggio e nelle proposte programmatiche, come il famigerato Ddl Pillon, fortunatamente archiviato. E il corpo stesso delle donne è, da sempre, anche terreno di profitti.
Dietro l’accordo fra Regione Toscana e Forum delle famiglie c’è la crociata antiabortista dei soliti noti e allo stesso tempo c’è il business degli affidi gestito dai gruppi antiabortisti integralisti. Il lato positivo di questa penosa vicenda è l’intelligenza, la costanza e la fantasia con cui le donne di Non Una di Meno hanno organizzato la protesta, nel corso di questi mesi, per ottenere il ritiro del provvedimento. Un’azione che rafforza anche la nostra battaglia consiliare per l’annullamento dell’accordo e che ha già portato almeno al congelamento delle erogazioni di denaro. D’altro canto le manifestazioni delle donne, assieme a quelle del movimento LGBTQI, sono fra le più partecipate e creative, nel nostro Paese.
Ancora non è chiaro chi saranno i suoi prossimi avversari. Nel Pd, che forse andrà alle primarie, si fanno i nomi dell’attuale assessora alla sanità, la renzianissima Stefania Saccardi, e del presidente del Consiglio regionale, Eugenio Giani, mentre l’europarlamentare Simona Bonafé -altra renziana di ferro – sembra essersi smarcata definitivamente preferendo rimanere a Strasburgo. Per il M5S potrebbe scendere in campo l’ex sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, mentre per il centrodestra, tramontata l’ipotesi del giornalista Mediaset Paolo Del Debbio, è ritornato in auge il nome della super salviniana Susanna Ceccardi, ex sindaca di Cascina ora europarlamentare.
Sarà una campagna elettorale impegnativa. Chi teme di più come avversario politico?
Non temo gli avversari, temo il Toscanellum, ossia una legge elettorale incostituzionale congegnata da Renzi e Verdini per trasformare artificialmente una minoranza nella società in una maggioranza di seggi nel parlamento regionale. Il che è molto rischioso: è una legge che stravolge il principio di eguaglianza del voto di ciascun cittadino e che limita la rappresentatività del Consiglio attraverso sbarramenti, premi di maggioranza, ballottaggio, listini bloccati.
Per questo abbiamo presentato una proposta di legge proporzionale, per cambiare sistema elettorale. Pd e M5S stanno discutendo a livello nazionale di una legge elettorale simile, sarebbe incomprensibile che non volessero discutere la nostra proposta per la Toscana. È giusto e necessario dotarci di un sistema che ristabilisca piena proporzionalità fra i voti ottenuti dalle varie forze politiche e i seggi assegnati. Così tutti i voti pesano in ugual modo e hanno il medesimo valore e così il Consiglio può rispecchiare effettivamente tutti i territori e le volontà di tutti gli elettori, in uguale misura. Questa è una svolta necessaria in epoca di crescente distacco e disaffezione dei cittadini dalla politica, che si traduce in alto astensionismo e in una democrazia dimezzata.
Lei ha sempre fortemente contestato al Pd il Jobs Act, la riforma sanitaria toscana- che ha smantellato molti settori della sanità pubblica- e la mancata attuazione dei referendum sull’acqua pubblica del 2011. A suo avviso c’è ancora spazio per un’azione politica di contrasto a tali provvedimenti?
Lo spazio c’è per il semplice fatto che la maggioranza delle persone la pensa come noi. Il nodo irrisolto è come trasformare queste maggioranze sociali in maggioranze politiche. In altri termini, se andiamo per strada e chiediamo a chi incontriamo se è d’accordo a superare la precarietà, reintrodurre l’articolo 18, avere una sanità davvero pubblica e universale o l’acqua gestita senza profitti, ci risponderanno di sì, come ha appunto limpidamente dimostrato il referendum del 2011.
Poi però entriamo in un’aula elettiva e lo scenario è diverso, precarizzatori e privatizzatori sono in maggioranza. Lo stesso si potrebbe dire su casa, reddito, previdenza, perché ovviamente le persone vogliono anche una casa dove vivere, e, incredibile a dirsi, persino una pensione, possibilmente da non percepire il giorno prima di morire. Si tratta dunque di costruire una proposta politica all’altezza delle maggioranze sociali, con metodi e forme nuove. Ma tornando al Consiglio regionale, nei prossimi mesi manderemo al voto in aula le nostre proposte di legge sui beni comuni, a partire da quella per la ripubblicizzazione del servizio idrico, e sarà un modo per capire se esiste in concreto la volontà di invertire la rotta neoliberista o se tutto resta immobile.
L’avanzata delle destre in Italia potrebbe spaventare e convincere molti elettori indecisi a votare per i partiti di centrosinistra, come già successo in diverse occasioni alle ultime amministrative.
C’è ancora spazio per una forza politica di sinistra?
Certamente il cosiddetto voto utile, che poi non è affatto utile, è la più forte delle insidie e nella dimensione regionale rischia di incidere più che nella dimensione municipale, dove la conoscenza diretta dei candidati gioca un ruolo essenziale. Ma dall’altro lato, il lavoro che abbiamo fatto in questi anni ha seminato tantissimo e sono molte le persone, i gruppi e i comitati che si sono avvicinati al nostro progetto politico regionale.
Ma vorrei anche dire che l’automatismo che spinge a ritenere che occorre votare Pd altrimenti vince la destra, al di là del moto istintivo, dovrebbe presupporre la risposta ad una domanda di fondo: cosa vogliamo far vincere, noi di sinistra? Un sistema di potere locale incistato in un intreccio fra affari, relazioni, appalti? Chi propugna mega opere inutili ma profittevoli? Chi toglie l’articolo 18? Chi privatizza i servizi essenziali e pezzi della sanità pubblica, a partire dalla specialistica e dalla diagnostica? Chi privatizza le scuole dell’infanzia comunali o vara la ‘buona scuola’? Per carità, se il Pd stesse covando una svolta ideale e programmatica, sarei il più felice del mondo, ma per ora ho visto la passeggiata di Zingaretti al tunnel Tav, la sua rivendicazione del jobs act e del sì al referendum per picconare la Costituzione.
C’è uno spazio potenziale per la sinistra perché i contenuti della sinistra sono forti nella società. Si tratta di costruire forme organizzative innovative e all’altezza di questa sfida, non certo rassegnarci e ad accomodarci nella falsa alternativa fra Ursula von der Leyen e Trump, fra troika e fascionazionalismi, fra globalizzazione neoliberista e muri.
In passato è stato candidato con L’Altra Europa per Tsipras per le europee, e non ha mai nascosto simpatia per Podemos. A luglio il premier greco uscente Alexis Tsipras non è stato rieletto mentre Podemos non è riuscito ad imporre le proprie “condizioni” (tre ministeri “sociali”, sanità, lavoro e università) a Pedro Sanchez per la formazione del nuovo governo spagnolo, e questo comporterà il ritorno alle urne, per la quarta volta in quattro anni, previsto per il 10 novembre prossimo.
Come vede il futuro per la sinistra europea?
Conservare lo status quo è la cosa più semplice del mondo, basta assecondare la corrente prevalente e gli interessi dominanti, ribaltarlo invece è difficilissimo. Per mutare i rapporti di forza dobbiamo prima di tutto uscire dalla frammentazione, a tutti i livelli, che significa necessaria ricomposizione sociale, dopo anni di polverizzazione del mondo del lavoro, ma anche organizzazione su scala quantomeno europea. Né Syriza né Podemos, da soli, hanno possibilità di modificare lo stato delle cose presenti, come si è visto nel caso greco, né lo potranno fare le lotte sociali, se restano disperse e non coordinate.
È un tema su cui ho sempre insistito: occorre porsi all’altezza in cui si decidono i nostri destini e la sinistra o è in grado di coordinarsi davvero, e strutturalmente anche in una dimensione europea, o perderà tutte le battaglie decisive. Serve insomma una capacità di mobilitazione paneuropea dei movimenti sociali, come serve un progetto politico transnazionale consistente, capace di porre come centrale la trasformazione di questa Europa.
Quindi lei, che è anche presidente della Commissione per le politiche europee e gli affari internazionali del Consiglio regionale, come trasformerebbe questa Europa?
L’attuale Europa è uno strano ibrido, le cui regole sono basate sulla teoria economica neoliberista e dove l’unica istituzione eletta direttamente dai popoli europei è quella che conta meno di tutte. Questo ibrido è di fatto ostaggio delle scelte dei governi più forti, la Germania e in parte la Francia. Anche se tutto sembra far pensare che si intenda conservare lo status quo, è evidente che la situazione è insostenibile e peraltro alimenterà, in giro per il continente, nuovi fascioleghismi.
Le due alternative che abbiamo davanti sono, per motivi diversi, altrettanto impervie: il ritorno agli Stati nazionali o la costruzione di un’Unione Europea sovrana e federale, quella a cui pensava Altiero Spinelli, in grado di dotarsi di una politica fiscale ed estera comune e di armonizzare le politiche sociali, impedendo il dumping interno all’Unione. Ovviamente la mia strada è la seconda, quella di un’Europa fondata sulla sovranità popolare, in grado di fronteggiare il neoassolutismo dei mercati finanziari e dei nuovi poteri economici globali. La lotta alla povertà o al cambiamento climatico richiedono tanto un’azione locale che un’azione internazionale, che sia quantomeno europea. E sarebbe illusorio pensare che i singoli Stati nazionali del nostro continente, nel mondo globalizzato, abbiano modo di riacquisire lo spazio di manovra necessario ad attuare politiche redistributive e protezione sociale. Rimanere nell’attuale situazione di stallo è certamente la via più semplice ma anche la più pericolosa.
Ultima domanda. Lei è sempre stato uno strenuo difensore dei diritti sociali, ma anche del diritto all’ambiente nella sua declinazione di economia circolare e rifiuti zero. Greta Thunberg è riuscita a smuovere le coscienze di molti giovani e meno giovani, e i temi ambientali sono finalmente entrati nel dibattito pubblico. Quando, però, entreranno anche nelle agende politiche?
Mi verrebbe da rispondere quando, grazie a nuova consapevolezza e a mutati rapporti di forza, saremo pronti a cambiare radicalmente il nostro modello economico, e il tempo che ci resta non è molto. Il capitalismo finanziario ed estrattivista non è compatibile con una svolta verde, per questo occorre lavorare ad un’alternativa di sistema. E così torniamo a quanto stavo dicendo or ora, si tratta di una rivoluzione che può essere condotta solo su una scala quantomeno continentale.
Abbiamo costruito un meccanismo che si basa sullo sfruttamento di altri esseri umani e sulla distruzione dell’ambiente ma questo non è un pianeta di prova né noi siamo ‘altro’ dalla natura, la cui circolarità è stata spezzata da processi produttivi lineari persino in agricoltura. Un progetto di sinistra per questo nostro millennio deve tenere assieme questi due elementi, senza separare giustizia sociale e ambientale, costruendo un orizzonte di felicità che è appunto salute, un mare pulito in cui nuotare o un bel bosco in cui passeggiare, conoscenza, beni relazionali, amicizie, tempo per gli affetti.