«La gente soffre, la gente muore, interi ecosistemi stanno collassando. Siamo agli inizi di una estinzione di massa e siete in grado di parlare solo di soldi e di raccontare favole su una perenne crescita economica. Come osate?» Sono parole che difficilmente verranno tralasciate nei libri di storia, quelle che la giovane Greta Thunberg ha sbattuto in faccia ai grandi della Terra, al summit Onu sul clima. Accuse che bersagliano senza tentennamenti - indimenticabile lo sguardo accigliato con cui fulmina Trump al suo ingresso in sala - una comunità internazionale incapace di scongiurare la catastrofe ambientale alle porte. «Sessantasei paesi, 102 città e 93 imprese si sono impegnate oggi a raggiungere zero emissioni entro il 2050»: sono i buoni propositi notificati dal Palazzo di vetro. Poco, troppo poco per limitare davvero le conseguenze dell’eccesso di Co2 in atmosfera.
Così, ragazze e ragazzi di tutto il mondo continuano ad alzare la voce per difendere il proprio futuro. Lo hanno fatto venerdì 20 settembre, con oltre 6mila eventi in 3.200 città di 165 Paesi. Per poi replicare in Italia, una settimana dopo.
«Chiediamo alla politica di seguire la scienza più autorevole, di rispettare l’accordo di Parigi e ambire anche a qualcosa di più, raggiungendo la decarbonizzazione dei Paesi più ricchi già nel 2030», dice Miriam Martinelli. Sedici anni, milanese, i media l’hanno definita «la Greta italiana». A Left spiega che la lotta degli “attivisti del venerdì” va oltre il tema strettamente ambientale. «La nostra battaglia - precisa Miriam - segue il principio della giustizia climatica, che significa giustizia sociale: la popolazione in molti casi subisce uno stile di vita consumistico, che viene imposto dalle multinazionali. Sono queste ultime a dover pagare, insieme ai potenti che hanno causato in prima persona la crisi ambientale».
«Non ci definiamo assolutamente ambientalisti», esordisce Vincenzo Mautone, studente di Scienze e tecnologie per la natura e l’ambiente alla Federico II e portavoce del movimento a Napoli. «C’è un malinteso. Ovviamente difendiamo la natura, ma...
[su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"][su_button url="https://left.it/left-n-39-27-settembre-2019/" background="#a39f9f" size="7"]SOMMARIO[/su_button] [su_button url="https://left.it/prodotto/left-39-2019-27-settembre/" target="blank" background="#ec0e0e" size="7"]ACQUISTA[/su_button]
[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]«La gente soffre, la gente muore, interi ecosistemi stanno collassando. Siamo agli inizi di una estinzione di massa e siete in grado di parlare solo di soldi e di raccontare favole su una perenne crescita economica. Come osate?» Sono parole che difficilmente verranno tralasciate nei libri di storia, quelle che la giovane Greta Thunberg ha sbattuto in faccia ai grandi della Terra, al summit Onu sul clima. Accuse che bersagliano senza tentennamenti – indimenticabile lo sguardo accigliato con cui fulmina Trump al suo ingresso in sala – una comunità internazionale incapace di scongiurare la catastrofe ambientale alle porte. «Sessantasei paesi, 102 città e 93 imprese si sono impegnate oggi a raggiungere zero emissioni entro il 2050»: sono i buoni propositi notificati dal Palazzo di vetro. Poco, troppo poco per limitare davvero le conseguenze dell’eccesso di Co2 in atmosfera.
Così, ragazze e ragazzi di tutto il mondo continuano ad alzare la voce per difendere il proprio futuro. Lo hanno fatto venerdì 20 settembre, con oltre 6mila eventi in 3.200 città di 165 Paesi. Per poi replicare in Italia, una settimana dopo.
«Chiediamo alla politica di seguire la scienza più autorevole, di rispettare l’accordo di Parigi e ambire anche a qualcosa di più, raggiungendo la decarbonizzazione dei Paesi più ricchi già nel 2030», dice Miriam Martinelli. Sedici anni, milanese, i media l’hanno definita «la Greta italiana». A Left spiega che la lotta degli “attivisti del venerdì” va oltre il tema strettamente ambientale. «La nostra battaglia – precisa Miriam – segue il principio della giustizia climatica, che significa giustizia sociale: la popolazione in molti casi subisce uno stile di vita consumistico, che viene imposto dalle multinazionali. Sono queste ultime a dover pagare, insieme ai potenti che hanno causato in prima persona la crisi ambientale».
«Non ci definiamo assolutamente ambientalisti», esordisce Vincenzo Mautone, studente di Scienze e tecnologie per la natura e l’ambiente alla Federico II e portavoce del movimento a Napoli. «C’è un malinteso. Ovviamente difendiamo la natura, ma…