«WHO is society?», il motto tatcheriano racchiudeva una visione del mondo negatrice del legame sociale. La sua spietatezza innocente, scrive Roberto Escobar, immagina individui astratti, ad una sola dimensione, poveri di umanità, concentrati sulla massimizzazione del profitto. In quel modello di società basato sull’homo oeconomicus, «non c’è società, non c’è relazione, né solidarietà, se non all’interno della famiglia». Nel suo libro Il buono del mondo. Le ragioni della solidarietà, il docente di filosofia politica dell’Università di Milano ha indagato le radici del dogma neoliberista che ha aperto la strada al predominio dell’economia capitalista sulla politica e a una visione agghiacciante della società, totalmente anaffettiva, in cui le parole simpatia, empatia, solidarietà sono state svuotate di senso, o addirittura criminalizzate, come accade oggi con l’avanzare di politiche xenofobe e nazionaliste.
Professor Escobar, negli ultimi anni abbiamo assistito ad una escalation di criminalizzazione della migrazione, di denigrazione delle Ong, fino ad arrivare a concepire un ossimoro come il “reato di solidarietà”. Quando è cominciato tutto questo?
L’invenzione del reato di solidarietà non è di oggi né di ieri. È una invenzione che è stata elaborata in 20-25 anni in Italia e non solo. Si è sostituita la politica, che è sempre una prospettiva volta al possibile, con la paura. Si è cercato di far credere agli italiani che non si tratti di problemi reali, sociali, ma che siano problemi fantasmatici e che ci siano fantasmi pericolosi. Ma queste categorie sociali additate sono quelle più deboli che in questo modo sono state demonizzate. Dunque la solidarietà non ha più motivo di essere. Anzi la si fa sembrare qualcosa di negativo. L’invenzione della parola “buonismo” è lì a ricordarlo. Quando mi danno del buonista contrattacco ma sono da solo contro un intero immaginario. Uno, da solo, viene zittito. Tanto più perché inculcano queste assurdità nelle teste degli italiani da almeno 25 anni.
Perché fanno tanta paura esperienze come quella di Riace, un paesino dove si era sviluppata un’esperienza di buona amministrazione e di integrazione nata dall’incontro fra uomini e donne stranieri e non? Perché spaventa tanto la politica conservatrice e xenofoba che per giunta ha potenti mezzi dalla propria parte?
Riace fa paura perché dimostra che si può agire diversamente. Fa paura perché la solidarietà è diffusiva, è una malattia benefica. E proprio per questo cercano di bloccarla. Fa paura perché dimostra che la politica può lavorare diversamente. Io vedo Mimmo Lucano come un uomo per bene, coraggioso, una persona solidale, lo vedo come un politico serio. È uno che di fronte a un problema lo affronta per quello che è e cerca di risolverlo. E questo, per chi oggi ci vieta di pensare politicamente, è pericoloso. Perché se Lucano ha ragione, allora hanno torto loro, perciò tentano di fermarlo.
Nel suo libro lei indaga la parola solidarietà da vari punti di vista. A partire da Leopardi lei scrive che la solidarietà è qualcosa di prettamente umano, un moto che viene dalle emozioni, dal riconoscimento dell’altro come pari e diverso ad un tempo.
Questa è la prospettiva di fondo di questo ultimo lavoro ma anche di ciò che sto scrivendo e pensando in questi anni. Per dirla in modo estremamente sintetico: non ci si deve stupire se qualcuno aiuta un altro; ci si deve stupire se non lo fa. Mi spiego: c’è dentro di noi (e lo si può dimostrare in vario modo dalla psicologia alla filosofia) qualcosa che ci spinge ad andare verso l’altro. Se vediamo che soffre gli tendiamo la mano, prima ancora di valutare chi sia, se la situazione in cui si trova sia colpa sua o meno. Sei caduto ti do una mano ad alzarti. E viceversa. Questo slancio è ciò che ha consentito all’umanità di non scomparire. Altrimenti non saremmo qua. Ma questo slancio è coperto, è coartato è negato dalla cultura dominante, del pensiero diffuso. Leopardi lo dice con la sua prosa splendida. Se davanti a qualcuno che sta male non ti muovi, hai un cuore di pietra. Io parto da questa idea. Non devo dimostrare che è giusto essere solidali ma cerco di mostrare quanto sia artificiale e artificioso il nostro rifiuto della solidarietà. Responsabile di questo artificio è la politica della paura e dell’odio che mira ad orientare il consenso.
Lévinas viene considerato come un pensatore del dialogo con l’altro, ma lei ne offre una interessante lettura critica, mettendo bene in luce che nell’orizzonte filosofico del filosofo francese l’incontro con l’altro ha una premessa religiosa, è fondato sulla metafisica. Se c’è il divino non ci può essere l’umano in quell’incontro, possiamo dirlo?
Questa è la mia opinione. Se per venire incontro a te io ho bisogno di passare attraverso un assoluto, allora l’assoluto è più importante di te. Faccio sempre questo esempio. Pensiamo ai difensori della vita: per loro la vita è un assoluto, magari uccidono la donna che vuole abortire, perché questa donna, per loro, è “un relativo” e vale meno dell’assoluto. È una tragedia quella che poi ne viene fuori. Io sono per i valori relativi che non sono i valori relativisti, ma sono i valori che nascono nella relazione con l’altro. Questo vale anche per le ideologie, le filosofie, non solo per la religione. Emmanuel Lévinas dice che Dio ci obbliga alla relazione. Se ci obbliga alla relazione, non è più una relazione.
La sinistra, per rinascere oggi, ha bisogno anche e soprattutto di laicità?
Ne ha bisogno profondamente. Il che non significa esclusione delle fedi private dei singoli. Laico è chi immagina che noi viviamo insieme e che ognuno deve essere rispettato nella sua identità e dignità e che ciò che conta è ciò che insieme decidiamo, non le verità che vogliamo imporre agli altri. La sinistra, secondo me, in questo senso deve essere laica.